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Il venditore di medicine

Regia di Antonio Morabito vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Il venditore di medicine

di miss brown
3 stelle

Spente le luci si piomba dritti sull'argomento: sotto i titoli di testa si sente la voce di Pier Paolo Brega Massone (l’ex primario di chirurgia toracica della clinica Santa Rita di Milano a cui è stata da poco confermata la condanna all'ergastolo), non so se più sconvolgente o ripugnante mentre si vanta al telefono della quantità di lucrosi interventi inutili che gli hanno fatto incassare ricchi rimborsi dalla Regione. Secondo il pm “ha dimostrato un'indole malvagia, (...) di non possedere il senso dell’umana pietà” e “la sua coscienza non è la nostra di comuni cittadini e nemmeno quella di un medico”.

Bruno è un brillante e spregiudicato quarantenne, che in nome del successo economico ha scelto il lato oscuro del suo lavoro di informatore scientifico. Suo compito dovrebbe essere presentare ai medici, sia di base che ospedalieri, le ultime novità della sua casa farmaceutica, aggiornandoli circa le più recenti scoperte: ma da anni ormai è diventato un dispensatore di mazzette. Dagli I-Pad ai soggiorni in località esotiche camuffati da congressi medici, dalle auto di lusso ai video porno, dalle raccomandazioni fornite da amici politici fino ai semplici contanti, l'azienda gli fa elargire di tutto purché i medici suoi compari prescrivano il maggior numero possibile di confezioni: "Bruno, che farmaco vuoi che spingiamo questo mese?" Non importa se si tratta di farmaci obsoleti a cui è stato cambiato il nome e rifatto il packaging, o di nuove molecole sperimentate davvero troppo poco: l'importante sono le prescrizioni, e se fatte a pazienti ormai defunti va bene lo stesso.

La moglie di Bruno, insegnante di liceo, non sa nulla dei maneggi del marito e non si pone domande sull'origine degli spropositati compensi che le assicurano un altissimo tenore di vita: ha 35 anni e vuole un figlio prima che sia troppo tardi. Lui non è d'accordo, un figlio rovinerebbe i suoi piani di carriera; e le mette di nascosto gli anticoncezionali nel cibo. Pressato da una tirannica capoarea che sta falcidiando il personale, sconvolto dal suicidio di un collega licenziato, comincia ad abusare di ansiolitici, prescrittigli senza batter ciglio da uno dei suoi “amici”.

Sembra avere finalmente un sussulto di coscienza quando incontra per caso un vecchio amico che, perso il lavoro, ha fatto per soldi la cavia volontaria - nell'ambiente “il topolino” - e un farmaco sperimentale gli ha distrutto i polmoni. Per una volta Bruno si mette a rischio e gli procura dall'estero un farmaco sperimentale non ancora registrato. Ma è solo un attimo: minacciato di licenziamento se non aumenta le vendite viene spinto a tentare il colpo grosso. Corrompe, ruba, mente, ricatta pur di riuscire a piazzare un costoso antitumorale presso un apparentemente incorruttibile primario di oncologia “Sai cosa significa oncologia? Duemila euro a fiala!”; il quale primario non si vende a lui perché si è già venduto alla concorrenza.

Bruno, l'uomo con la valigetta, è l’ultimo anello nella catena del “comparaggio”, è solo una rotellina nella complessa macchina fabbrica-soldi dell'industria farmaceutica. Pur di non perdere la sua sudata posizione è disposto a corrompere medici, a ingannare colleghi, a tradire la fiducia delle persone a lui più vicine. Le scelte che fa sono sue, e sono comunque ingiustificabili: questa la morale della storia, raccontata dal punto di vista dei “cattivi”. Di “buoni” ce n'è uno solo, un giovane medico che non si lascia comprare e denuncia il tentativo di corruzione – ma andrà a sbattere contro un'assoluzione per insufficienza di prove. Tutti gli altri, la moglie, l'amico malato, i colleghi licenziati, per non parlare dei pazienti (cioè noi tutti) sono vittime schiacciate da un sistema infernale e inarrestabile, oltre che spaventosamente diffuso.

Girato con qualche difficoltà logistica (una certa ostilità dalla classe medica tutta, lettere di minaccia e insulti, luoghi per le riprese concessi e poi improvvisamente negati) in un'algida e irriconoscibile Bari e co-prodotto fra gli altri da Rai e Televisione Svizzera Italiana, il film parte con ottime intenzioni ma il risultato ottenuto dal regista Antonio Morabito è ben lontano dalla gloriosa tradizione dei film di denuncia di Rosi e di Petri. E nemmeno sfiora il livello del satirico, acutissimo nel suo realismo MEDICO DELLA MUTUA di Zampa: partito con ambizioni di thriller politico, finisce per essere poco più della drammatizzazione di una puntata di Report.

La sceneggiatura – dello stesso regista insieme a Michele Pellegrini e Amedeo Pagani - è decisamente troppo schematica e la volontà programmatica di parlar male di Big Pharma porta per eccesso di zelo a svarioni imperdonabili: nemmeno la più potente multinazionale del farmaco otterrebbe dal Ministero della Sanità la registrazione per una nuova molecola totalmente innovativa dopo 2 anni di sperimentazione in doppio cieco su soli 40 pazienti. In più, l'informatore scientifico Bruno ha certo un'ottima preparazione in biochimica, dato che ha una laurea in veterinaria: può ignorare che raddoppiando il dosaggio della pillola anticoncezionale non aumenta l'efficacia, ma si rischiano invece pericolosi effetti collaterali? Se non fosse tragico sarebbe ridicolo, credo di aver assistito al primo caso di overdose da pillola nella storia del cinema.

Protagonista assoluto dall'inizio alla fine è l'ottimo Claudio Santamaria, che interpreta con equilibrio le nevrosi del suo personaggio lungo tutta la discesa agli inferi. Buoni, seppure in parti molto piccole, Ignazio Oliva (il medico che non si fa corrompere) e Paolo De Vita (il disincantato venditore sessantenne). Purtroppo molti degli altri personaggi, per quanto ben interpretati, sono così mal disegnati da sfidare ogni verosimiglianza. La capoarea-arpìa di Isabella Ferrari è una cattiva da fumetto, mentre i medici corrotti sembrano più che altro una banda di pittoreschi buontemponi. E son qui a chiedermi per quale ragione, con tutti i bravi attori disoccupati che ci sono in giro, sia stato scelto il giornalista Marco Travaglio per interpretare - mediocremente, ma era prevedibile - il primario corrotto.

Insomma, tristemente, l'ennesima occasione sprecata.

 

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