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La grande bellezza

Regia di Paolo Sorrentino vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su La grande bellezza

di laulilla
2 stelle

Questa notte il film sarà visibile su Sky. Aggiungo, pertanto, alle opinioni ben più qualificate presenti sul sito, anche la mia.

 

Jep Gambardella (Toni Servillo) è un giornalista mondano, giunto a Roma da Napoli ancora giovane e pieno di illusioni.

Era, allora, considerato una promessa del romanzo italiano, perché vi si era cimentato con un’opera prima di successo. Quel suo bel romanzo, però, era rimasto l’unico, poiché, per ragioni professionali, diventando stimatissimo giornalista – intervistatore, per conto di un importante giornale gossipparo, si era immerso nel mondo dorato dei salotti romani che contano ed era invecchiato così, abbandonandosi ai riti insulsi della morbida e corrotta vita dell’alta società, quasi convinto che qualsiasi altro modo di esistere non fosse né possibile, né interessante.

 

Aveva perso, in tal modo, a poco a poco, la voglia di scrivere e forse anche di vivere, quasi senza rendersene conto, così preso com’era dalle interviste, dalle feste sulla sua bella terrazza di fronte al Colosseo, dai pettegolezzi su amici e amiche importanti, dall’ammirazione per i begli abiti dell’industriale un po’ leghista del piano di sopra, cioè, in breve, dal nulla.

 

Neppure i suoi trascorsi amorosi sembrano memorabili; ora si accompagna castamente (ha sessantacinque anni) a una bella spogliarellista (Sabrina Ferilli) che è ben lieta di stare con lui, ricco e disposto ad agghindarla lussuosamente persino per il funerale di un amico, senza implicazioni sessuali.

Fuma continuamente e beve come una spugna, ma sempre ben attento a non ubriacarsi, per non perdere mai la lucidità che, a sentir lui, lo renderebbe superiore ai suoi debosciati conoscenti, i quali non solo si ubriacano, ma sniffano senza ritegno e si abbandonano a danze scatenate o al gioco del trenino nelle notti romane.

La vecchiaia, con tutti gli inquietanti interrogativi che l’accompagnano, comincia a tormentarlo, cosicché egli prova a rivolgersi a qualcuno che dia risposte al suo tardivo indagare sul senso della vita, ma trova un cardinale, forse futuro papa, che ha il chiodo fisso delle ricette di cucina, mentre la suora missionaria-santasubito, che ha più di cento anni e che in Africa cura i bisognosi, gli spiega che il segreto della propria longevità tranquilla è nel suo cibarsi di sole radici.

 

Jep coglie il significato metaforico delle sue parole e s’imbarca verso la sua terra d’origine, nella speranza di trovare, otre alle sue radici, anche, per dirla con Ungaretti, ”un paese innocente”.

 

 

 

 

 

 

Il regista indugia a lungo per raccontare la non vita di Jep, insieme alla non vita di troppa gente dell’alta società romana, soffermandosi su una serie molto ampia di non episodi: “situazioni” non molto significative che descrivono lui e il milieu di cui si circonda. Si va dall’incontro con Antonello Venditti, a quello con la body art della bimba, costretta a forza dai genitori a esibirsi in una raccapricciante performance (uno dei momenti più agghiaccianti del film), agli incontri fugaci con l’amico fedele e onesto (Carlo Verdone), a quello con il cardinale (Roberto Herlitzka), alla visione delle bambine che giocano presso l’istituto di suore, alla curiosità per le suore medesime, alla suora decrepita che sale la Scala Santa, alla visita inattesa dell’amico che pare vedovo inconsolabile, alla rapida consolazione del medesimo, alle passeggiate notturne in Via Veneto, all’incontro amoroso in una notturna Piazza Navona con Isabella Ferrari, e via addizionando…

Questa continuo accumularsi di nuovi elementi non aiuta affatto a comprendere meglio il film, comprensibilissimo già dopo la prima ora di proiezione, né a scrivere meglio la storia di un personaggio senza storia, ma lascia in molti spettatori l’impressione di un'inutile e incessante giustapposizione quantitativa, che avrebbe potuto continuare ancora per ore, senza che il film ne guadagnasse in profondità. Per la stessa ragione, dubito che se il regista avesse eliminato qualche scena, il film ne avrebbe risentito, tanto sono equivalenti e, in fondo, ripetitive le innumerevoli situazioni che coinvolgono Jep.

Le cose migliori sono da ricercare, a mio avviso, in alcuni momenti della fotografia di Luca Bigazzi, nonché nell’interpretazione di Servillo, che purtroppo, però alla fine stanca, per eccesso di autocompiacimento istrionico.

Nel DVD sono visibili anche le scene tagliate, non dalla censura, ma dal regista stesso, bontà sua, per evitare l’eccessivo dilatarsi della durata di questo lavoro.  Che cosa, d’altronde, ci sarebbe stato da censurare? questo film non è, checché se ne dica, La Dolce vita di Fellini, da subito ostracizzata, vilipesa e ostacolata: è un prodotto di Medusa film, da subito coccolato, vezzeggiato e sovrastimato!

 

Film di irritante pochezza

 

 

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