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Il sospetto

Regia di Thomas Vinterberg vedi scheda film

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La recensione su Il sospetto

di LorCio
8 stelle

Pochi autori resistono ai propri movimenti. Cioè, pochi autori riescono a restare entro i parametri fissi dei movimenti da loro stessi fondati. Non fa eccezione Thomas Vinterberg, cantore del probabilmente sopravvalutato Dogma 95 (le cui basi non stiamo ora a ricordare, si pensi ai film di Lars von Trier della fine degli anni novanta e amen), che si era un po’ perso per strada dopo l’affermazione di Festen. ll suo ultimo film, Il sospetto (in originale La caccia: dopotutto di sospetti ne avevamo pochissimi, da Hitchcock a Maselli), è infatti abbastanza classico, lontano dal mitologico voto di castità del Dogma, quasi convenzionale pur nella sua mirabile efficacia.

 

È la storia di ordinaria tristezza di un maestro d’asilo, Lucas, accusato di pedofilia ingiustamente dalla figlia del migliore amico, presumibilmente suggestionata dalla visione di un porno che il fratello aveva visionato sull’iPad, dalla necessità di attenzioni da parte dei litigiosi genitori e dalla sbagliata percezione del ruolo del maestro. Il piccolo paese della tranquilla Danimarca si schiera unanime e spietata contro il mostro nonostante manchino prove quantomeno inconfutabili. Lieto fine di inquietante e sinistra ambiguità.

 

Vinterberg lavora bene su tutti i fronti: da una parte sa dove mettere la macchina da presa sia quando deve scavare nei volti dei protagonisti (il protagonista passa da un irrefrenabile malinconia derivata dalla solitudine all’angosciante smarrimento di chi non riesce a comprendere l’assurdità di una colpa mai commessa) sia quando vuole rappresentare una tipica e placida comunità locale toccata nel profondo delle sue vulnerabilità (le sequenze al supermercato o quelle in chiesa).

 

Dall’altra rapisce lo spettatore mettendolo a contatto col turbamento di un uomo rimasto solo contro le vessazioni del gruppo. Impossibile non irritarsi lungo il corso della vicenda, non indignarsi di fronte alla violenza fisica che subisce Lucas (con uno sconfortante ed ottusamente vendicativo apice che coinvolge l’adorata cagna Fanny), così come non si resta indifferenti riguardo tutto ciò che gira attorno al controverso problema che sta alla base del film, perché è vero (ma molto impopolare) che i bambini non sempre dicono la verità, ma è vero pure che il germe del dubbio viene seminato dagli autori con particolare effetto anche nello spettatore più garantista (raffigurato dall’innamorata ma perplessa compagna di Lucas).

 

Più che una caccia, il film è un drammatico gioco al massacro ad alta tensione, intrigante perché ambientato in una terra (la Danimarca, un Nord Europa civile e solidale) che immaginiamo lontana dal giustizialismo spiccio ed assolutamente umana. Non è tanto una questione di funzionamento della giustizia (che qui, anzi, se la sbriga in due mesi), quanto di scarsa intelligenza di uomini segnati e feriti. La riabilitazione, infatti, arriva quando il babbo della bambina si rende conto della fragilità dell’accusa, non quando la giustizia afferma l’innocenza dell’accusato. Film come minimo interessante, pieno di sfumature cupe e di sensibilità manifeste, doloroso più che tormentato, non di rado emozionante, dominato da un dolentissimo Mads Mikkelsen premiato a Cannes come miglior attore.

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