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God of Love

Regia di Luke Matheny vedi scheda film

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La recensione su God of Love

di OGM
8 stelle

Questo cortometraggio è la tesi di dottorato di Luke Matheny, classe 1976. Nel 2011 ha vinto il premio Oscar per il miglior cortometraggio live action. È una storia in bianco e nero scritta, diretta ed interpretata da un ragazzotto americano dai tratti un po’ scimmieschi, con un’espressione stralunata messa in risalto da una  folta criniera di capelli arruffati. È il racconto della sua irrimediabile sfortuna in amore, che un miracolo divino (targato Fondazione Olimpo) riesce a trasformare nella fonte della felicità altrui. Il gioco inizia con un pacco di freccette magiche, capaci di risvegliare istantaneamente, in chiunque ne sia colpito, un’irresistibile attrazione per la persona che, in quel momento, gli si trova accanto. Scoccare quei dardi di mitologica memoria significa giocare col destino del prossimo, creando unioni per la vita, ma anche coppie male assortite di breve durata: il giovane Richard Goodfellow, che canta il blues ed ha una mira infallibile, inizialmente affronta quella delicata missione come un curioso diversivo. Per una volta, lui, che da sempre è escluso dalla giostra dei sentimenti, ed è condannato a stare a guardare, può godersi il suo ruolo di spettatore, osservando divertito gli effetti delle sue incursioni nell’intimità di amici e di perfetti estranei. In tutti loro riesce a far subito attecchire ciò che, nella sua esistenza, non è mai germogliato: il miracolo di incontrare l’anima gemella e di amare essendo riamati. Per lui, la questione è sempre rimasta asimmetrica, come quel suo viso irregolare e per nulla attraente, che nemmeno la luce di un sorriso riesce ad abbellire. L’essenza umana di Richard è un’anima sensibile che soffre dentro un corpo sgraziato,   è un genio nobile, discreto e generoso che ha un aspetto troppo goffo per risultare credibile. Quando l’incantesimo svanisce – esattamente dopo sei ore dalla “puntura” – nessuna delle sue vittime lo  prende più sul serio. Richard non può prendere parte alla magia perché ne è l’artefice. Deve accontentarsi del potere di seminare, a suo piacimento, e rinunciare al piacere di raccogliere i frutti. È come un medico malato, che è  tanto più premuroso e comprensivo nei confronti dei suoi pazienti, quanto più condivide la loro pena. Il dolore apre il suo cuore al mondo, facendogli dimenticare i suoi particolari desideri, per sostituirli con la voglia di fare del bene. Il principio evangelico del martirio si avvale qui di un riferimento pagano, investito di un bonario spirito goliardico.  Cupido è un dio bruttino, che ama fare gli scherzi  ma è fondamentalmente innocuo. È un tipo solitario e triste, però conosce il suo mestiere, e sa fare davvero grandi cose.

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