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Nella casa

Regia di François Ozon vedi scheda film

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La recensione su Nella casa

di FilmTv Rivista
8 stelle

Germain, professore frustrato con scadute velleità di scrittore, ha un unico allievo promettente: Claude. Che, nel classico tema sull’ultimo weekend, racconta di essere entrato nella casa di Rapha, un compagno. Di averne conosciuto il padre, di aver respirato, sfiorando la madre, il «profumo delle donne della classe media». C’è ironia acuta e sottile, in quelle parole tra lo sfregio parodico e la restituzione realista, tra la caricatura e il verbale. E poi c’è quella chiusa, che titilla la curiosità del docente: «continua...». E Claude continua sul serio. A frequentare il focolare borghese, a trasporlo in un feuilleton voyeurista per il suo professore. Che crede di educarlo alla scrittura, ma sta riflettendo, soprattutto, (su) se stesso. Le immagini, come in un adattamento nouvelle vague, esprimono le parole fuori campo, vero e falso s’imbrogliano. E la realtà non si sa nemmeno quanto disti. François Ozon, con i suoi personaggi che guardano sempre all’orizzonte (ma in Nella casa non c’è la spiaggia, non c’è l’oceano: ci sono finestre sul cortile) è uno che ragiona sul cinema e gli stereotipi per misurare la distanza tra reale e desiderio, vita e immaginario (si pensi solo al manifesto Angel. La vita, il romanzo). Così riprende gruppi di famiglia in interni alleniani, gioca esplicitamente a Teorema, occhieggia a Hitchcock. E invita lo spettatore a risolvere un mind game dove non tutto torna. Perché, come in Ricky. Una storia d’amore e libertà, sono le falle e i buchi di sceneggiatura, gli enigmi e i non detti a rivelare ciò che sono nel profondo i personaggi. E, come in uno dei teatri di Resnais, è nello scollarsi delle maschere che si scorge l’abisso. Fa un cinema di superfici e forme abusate, Ozon: Nella casa è un’esangue riflessione sulla scrittura, un meccanismo di serie B, un’opera cerebrale in cui macchiette recitano storie già raccontate. Eppure, zoppicando tra invenzione e verità, tra le crepe e gli omissis, nello spettatore germinano domande. Perché forse Claude è una proiezione di Germain, il figlio mancato, un’idea latente. Forse è Germain, e non Rapha, l’obiettivo di Claude. Forse è tutto un gioco di specchi e sublimazioni, famiglia con famiglia, solitudine con solitudine. E, vi assicuro, continua... Diceva Flaubert: «Non si deve pensare che il sentimento sia tutto, l’arte è nulla senza la forma». E nell’arte superficiale e umanista di Ozon è lì, nella crisi delle forme usurate, che lo spettatore sente dimenarsi il coacervo dei sentimenti, il teatro di desideri in subbuglio.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 17 del 2013

Autore: Giulio Sangiorgio

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