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L'anno scorso a Marienbad

Regia di Alain Resnais vedi scheda film

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La recensione su L'anno scorso a Marienbad

di giansnow89
10 stelle

Film unico.

“Tu non ricordi; altro tempo frastorna
la tua memoria; un filo s'addipana.”

 

Un uomo, una donna, in un palazzo principesco, di sera, a una festa. Individui senza nome, pure astrazioni al servizio del cinema di Resnais. L’uomo incalza la donna affermando di averla già vista e frequentata altrove, l’anno prima; la donna nega recisamente. Il marito della donna li osserva, forse, da lontano. Gli altri invitati alla serata - o forse l’intera umanità – hanno la fissità di sguardo dei manichini, spettatori muti e inessenziali dell’incontro fra i due protagonisti. Alain Resnais porta alle estreme conseguenze il suo discorso sul tempo e sul ricordo iniziato in Hiroshima mon amour. Se nel suo precedente lungometraggio, la distinzione fra passato e presente, fra Nevers e Hiroshima, fra l’amante tedesco e l’amante giapponese, era invisibile unicamente a livello di metafora, in Marienbad lo diventa anche nella sostanza e nella tecnica cinematografica. Il montaggio schizofrenico, la voce del protagonista, ora extra-diegetica, ora vagamente acusmatica, ora fisicamente individuabile, la quasi perfetta sovrapponibilità fra i luoghi del ricordo e i luoghi dell’oggi, e ancora la colonna sonora, quasi interamente su una linea d’organo, che voracemente si infiltra dove può e permea con mesmerico incedere l’intero dispositivo filmico senza far distinzioni fra l’oggi e l’ieri, tutto quanto concorre ad annullare le distanze temporali – e spaziali. Al tempo stesso, più ricordi diversi, e più situazioni presenti diverse si susseguono, sdoppiando ciò che sembrava Uno, frammentando l’indivisibile. Un anno, un mese, giorni, un istante, un passato, due passati, un presente, due presenti: Resnais dilata, restringe, moltiplica il tempo come un mantice, con beffardo capriccio fa coincidere perfettamente il tempo della narrazione nel presente e il tempo della rappresentazione filmica, e significato e significante si compenetrano. In Marienbad l’uno diventa due, e il due diventa uno, senza posa. Financo l’uomo e la donna, il ricordo e il non-ricordo, pure forme ideali e incorporee, potrebbero essere letti come espressioni di uno stesso io sezionato, metaforico della condizione umana. Se è poi vero che il tempo è esterno all’uomo, e ontologicamente si dispone su un piano superiore al ricordo, che al contrario è entità accidentale e dipendente dall’uomo, e se persino la morte – di lei? di lui? di entrambi? - può essere relegata all’oblio e nascondersi dietro le pieghe del tempo, è altrettanto evidente che il gran burattinaio che tiene le fila del gioco e governa i dispotismi di Chronos irreggimentandoli in un palinsesto caotico dalla ratio nota solo a Lui, è proprio il regista. Il tempo come ultimo confine dell’uomo, il regista, l’Autore, come ultimo confine del tempo.

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