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Il mondo di Arthur Newman

Regia di Dante Ariola vedi scheda film

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La recensione su Il mondo di Arthur Newman

di supadany
6 stelle

Film che segna l’esordio alla regia di Dante Ariola, che manifesta apertamente più velleità che però faticano a tradursi in qualcosa di concreto, almeno fino in fondo.

Tanta carne al fuoco, ma cotta in tempi che la rendono appetibile solo parzialmente.

Wallace Avery (Colin Firth) sceglie di abbandonare una vita che non gli offre (da tempo) soddisfazioni, tra un figlio che non lo vuole nemmeno vedere ed una compagna con la quale ha un rapporto freddo; simula la sua dipartita ed è pronto a ripartire con una nuova identità verso altri lidi.

Durante il suo viaggio s’imbatte in Michaela (Emily Blunt), ragazza problematica che non riesce ad accettarsi e che è una vera e propria calamita di guai.

Il loro viaggio insieme li porterà a fare conti da tempo accantonati.

 

Emily Blunt, Colin Firth

Il mondo di Arthur Newman (2012): Emily Blunt, Colin Firth

 

Film dai tratti interessanti, ma anche irrisolto, o meglio risolto in varia maniera, che pone in rilievo parecchi temi col rischio, verificatosi, di portare avanti varie cose a strappi e ottenendo risultati tra loro contrastanti.

Forti risuonano le domande “Dove vogliamo andare?” e “Cosa vuoi fare della tua vita?”, il concetto di identità, e ci si scherza sopra anche con diversi siparietti di alleggerimento che smorzano i toni, è quello principale in un mondo che tende ad omologare e schiacciare, generando (poche) schegge che cercano di andare in direzione (ostinatamente) contraria, ma che poi sono comunque obbligate a rivedere i propri propositi (vedasi il sogno del nuovo lavoro al golf club di Wallace) .

Così si ritrovano due diverse solitudini che, a loro modo, si aiutano e che trovano uno scorcio a parte rispetto alla realtà che rifuggono e che non hanno la forza necessaria per affrontare, col tratto più anomalo rappresentato da un legame padre-figlio assente, giustificato con l’anomalia scottante della mancanza dell’esigenza di quell’amore infinito che lo caratterizza.   

Il copione si disvela col tempo, aggiunge pezzi, a volte li rimodula, ha diversi approdi, ma ammucchia troppo e non sfoggia una gran limpidezza, in più il finale è quello che tende ad arruffianarsi la simpatia (almeno del pubblico medio) e, a quel punto, diviene inevitabilmente il più scontato possibile (insomma, almeno per uno dei due personaggi cercare qualcosa di diverso non sembrava un’utopia).

Ed in scena tutto grava sulle spalle dei due protagonisti, Colin Firth, considerato dal regista l’unico attore ideale per la parte, è a suo agio quando predomina il dramma ed a disagio quando si passa alla commedia o al grottesco, mentre Emily Blunt riesce a montare i tormenti del suo personaggio ed è per lo più penalizzata dal copione quando si arriva nei pressi della conclusione (nota a parte per una fredda Anne Heche, a suo modo straziante).

Un film ambizioso sulla carta, più contrastato alla resa dei conti, che mostra anche tanto sfondo (si susseguono tante facce degli Stati Uniti), che alterna aspetti di varia natura, offrendosi quindi a giudizi anche distanti, per poi piegarsi troppo quando si sentirebbe l’esigenza di qualcosa di diverso.

Mutevole (purtroppo anche troppo ad un certo punto).

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