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Oltre le colline

Regia di Cristian Mungiu vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Oltre le colline

di ed wood
9 stelle

Bellissimo film, che conferma Mungiu fra i maggiori cineasti contemporanei. L'autore del capolavoro "4 mesi, 3 settimane, 2 giorni" si ripresenta con un'estetica già molto personale, quasi inconfondibile, caratterizzata da un realismo psicologico, condotto sulla scorta di composti campi medi, uso sapiente della profondità di campo, piani-sequenza statici girati in ambienti soffocanti, tensione palpabile, ma soprattutto un rigore stilistico e una nettezza di sguardo che non tentennano e non arretrano nemmeno nei momenti più insostenibili. Va riconosciuto però che una buona fetta del merito della riuscita dei film di Mungiu, come di altri autori di questa sfolgorante new wave rumena che, per fortuna, non ne vuole ancora sapere di esaurirsi, spetta agli sceneggiatori. "Oltre le colline" poggia su un copione di ferro, complesso, articolato, denso, ambiguo, ricchissimo. A Mungiu va dato il merito di averlo messo in scena in maniera equilibrata, soppesando le numerose componenti tematiche, senza disperdere un grammo del suo "furore contenutistico". Un Porumboiu avrebbe probabilmente accentuato la componente grottesca e paradossale; un Puiu si sarebbe concentrato in chiave iperrealista sulle dinamiche più intime nei rapporti fra i personaggi. Mungiu, invece, mantiene la giusta distanza, rispetta i segreti custoditi da ciascun personaggio, preferisce elidere e suggerire piuttosto che approfondire ed invadere; e ciononostante il suo cinema conserva una strepitosa potenza drammatica, miracolosamente a braccetto con il rifiuto di ogni espediente ricattatorio o melodrammatico. "Oltre le colline" (titolo che fa riferimento ad una breve sequenza apparentemente inutile, in realtà una sottile metafora del desiderio di fuga dal mondo, un sommesso e impotente grido d'aiuto) parla di tante cose: di una storia d'amore negata, di follia sentimentale scambiata per possessione satanica, di una giovane donna senza un posto nella società, di istituzioni oppressive, ciniche e spietate, di familismo amorale, di un Dio più volte chiamato in causa a sproposito, di una Romania post-Ceaucescu ancora miserabile, di un senso dell'opportunismo dilagante, di colpe e responsabilità, di una coscienza individuale e collettiva perennemente sporca. Mungiu punta il dito non solo contro il fondamentalismo religioso ortodosso, ma anche contro l'aberrante cinismo ospedaliero, la disonestà morale di una famiglia adottiva, la Romania stessa. E contro Voichita: amante contesa fra Alina e Dio, nonchè ideale inconsapevole (?) carnefice. Se nel precedente film, Gabita, lasciata sola dalla Legge, poteva almeno contare sull'appoggio dell'amica Otilia, qui invece la povera Alina resta di fatto sola contro il mondo, rifiutata da tutto e da tutti. Stupenda la scena in cui il volto di Voichita si riflette nel vetro, Alina la vede e ricade nella crisi isterica. Ma il momento più intenso, nonchè una delle sequenze più strazianti, dolenti, insostenibili degli ultimi anni (esattamente come l'inquadratura del feto abortito in "4 mesi, 3 settimane, 2 giorni") è la dichiarazione del decesso di Alina da parte di una sbrigativa dottoressa: un pugno nello stomaco, sotto forma di piano-sequenza con un lieve movimento verso destra e poi ritorno a sinistra, con pianti fuori-campo e "assassine" relegate in fondo all'immagine. Un momento di cinema implacabile, duro senza essere sadico, tremendamente pessimistico e invevitabilmente materialista: uno schiaffo alle coscienze, che ci costringe a guardare e toccare con mano l'orrore di una società dalle logiche disumane.

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