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Django Unchained

Regia di Quentin Tarantino vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Django Unchained

di ethan
8 stelle

A vent'anni dal folgorante esordio di 'Le iene', Quentin Tarantino dirige finalmente un western, piegandolo alla sua poetica e tematiche principali, che anche in questo caso sono il sadismo, la violenza e la vendetta.
Il film, che parte omaggiando 'Django' (''la D è muta'') di Sergio Corbucci del 1966 con la stessa canzone che apriva e chiudeva quell'opera, è ambientato nel 1858, che la didascalia ci informa due anni prima della Guerra di Secessione o Civil War come la chiamano gli americani (ma la guerra, a dir il vero, iniziò nel 1861) e ci offre la consueta galleria di personaggi - tutti ben scritti dallo stesso autore - che siamo abituati a vedere nelle altre sue opere: il dentista-bounty killer dai modi gentili ed eleganti ma allo stesso tempo risoluti, interpretato in maniera straordinaria da Christoph Waltz, oppure il Django in cerca di moglie e vendetta reso con energica bravura da Jamie Foxx, il razzista odioso, presuntuoso e pieno di una sorta di rancore mista ad invidia verso gli schiavi di un Leonardo Di Caprio sorprendente villain ancora vergognosamente dimenticato dall'Academy, per finire con il viscido servo spione impersonato da Samuel L. Jackson.
Mentre il plot è ben sviluppato fino a tre quarti dell'intera durata, incartandosi un po' verso il finale, la mano di Tarantino è sempre felice nel costruire ogni singola sequenza, tanto quelle più movimentate delle sparatorie, con un tripudio di sangue e ralenty, quanto ancor più quelle improntate sui dialoghi, di consueto molto lunghe, usate dal regista per costruire una tensione via via più crescente che si 'risolve' sempre in maniera cruenta.
Non poteva mancare la sua presenza come attore, che si conclude - in modo autoironico - con una breve apparizione e  un'esplosione cartoonistica.
Come nella scena nel cinema in 'Bastardi senza gloria' e il marchio a sangue sulla fronte del cattivo di turno, assistiamo ad un finale liberatorio; con l'aggiunta dell'omaggio a 'Lo chiamavano Trinità', che già era una parodia del nostrano spaghetti western, si può dire che il lavoro di Quentin di rilettura del genere sia esaustivo, non certo per tutti i gusti e con qualche 'sparo a salve' ma compiuto.
Voto: 8.

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