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Moonrise Kingdom - Una fuga d'amore

Regia di Wes Anderson vedi scheda film

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La recensione su Moonrise Kingdom - Una fuga d'amore

di Gangs 87
9 stelle

Ammetto di amare le prospettive di Wes Anderson! Il suo modo di collocare quasi sempre al centro il soggetto per garantirgli l’attenzione dello spettatore, la capacità di spostarlo a lato solo quando è necessario evidenziare lo spazio aperto, rendono l’esperienza visiva qualcosa di unico nel suo genere. Così come l’utilizzo delle inquadrature, che sia attraverso un binocolo o con zoom più o meno enfatizzanti, volti a manovrare l’interesse di chi guarda, o piuttosto la suddivisione dello schermo in due inquadrature ben distinte (anch’essa tipica di Anderson), caratterizzano la pellicola donandogli spessore e qualità. Come quando, ad un certo punto, utilizza la classica “ripresa zoomata” tipica degli anni ’60 o giù di li (quando i due innamorati si trovano agli antipodi di una stessa inquadratura e il regista si avvicina, alternandosi, all’uno e all’altra attraverso l’utilizzo della zoomata facciale) che ribadisce l’appartenenza ad un certo genere ma non storpia la natura della pellicola stessa.

 

L’altro elemento dominante sono i colori. Le cromie utilizzate con oculatezza in modo da riprendere non solo lo stile degli anni che si tendono a raccontare, ma necessarie a catapultare lo spettatore nell’ambiente circostanze, per quanto bizzarro possa sembrare. Al contempo è anche affascinante notare come Anderson sia capace di utilizzare la fotografia e le luci/ombre per racchiudere nello stesso film più generi. Si passa dalla commedia romantica della prima parte, al thriller/horror della seconda, dove è evidente l’influenza del cinema di Hitchcock (la scena del campanile ricorda non poco gli attimi finali di Sabotatori). I toni caldi e rassicuranti delle prime scene, in cui il pericolo non sembra far parte di ciò che vediamo, lasciano spazio ai colori freddi e inquietanti delle scene finali, dove il regista sembra volerci mettere volontariamente in allarme.

 

Gli attori talmente bravi e pienamente nella parte che finiscono per diventare integrazione del racconto, a tal punto che, arriva un momento in cui sembra che siano i reali protagonisti e non persone ingaggiate per essere personaggi. Jared Gilman su tutti, spicca per la capacità di donare naturalezza al suo personaggio; la semplicità con cui lo interpreta spiazza ed è evidente che l’intenzione è quella di affascinare, e ci riesce senza sforzarsi poi troppo. Ma anche il trio Bill Murray, Frances McDormand e Bruce Willis, finisce per regalare attimi di puro cinema, imbastendo un triangolo ai limiti della moralità.

 

Tutto questo e le sensazioni che da questo scaturiscono, sono le pellicole di Anderson; capaci di trasferire lo spettatore direttamente nell’ambientazione e, nonostante i toni spesso esagerati e sfarzosi, finisce per fargli dimenticare che sta assistendo ad una farsa.

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