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Il comandante e la cicogna

Regia di Silvio Soldini vedi scheda film

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La recensione su Il comandante e la cicogna

di lorenzodg
8 stelle

Il comandante e la cicogna” (2012) è il ventiduesimo lungometraggio del regista del Canton Ticino Silvio Soldini.
……………………
i ministri puliti
i buffoni di corte
ladri di polli
super pensioni
nuntereggae più
ladri di stato e stupratori
il grasso ventre dei commendatori
aziende politicizzate
evasori legalizzati
nuntereggae più
auto blu sangue blu
cieli blu amori blu
rock and blues
nuntereggae più
e a la la
nuntereggae più
dc psi
nuntereggae più
dc pci
pci psi pli pri
dc pci pci dc
cazzaniga
nuntereggae più

………………….
(da ‘Nuntereggae più’ 1978 di Rino Gaetano)

   In  un’Italia sfatta, indegna, amena, sperduta, intristita e scazzata c’è solo da sperare in un cielo arioso e poco ingrigito da dove ‘arriva’ una cicogna che si perde per ritrovarsi come il percorso del film che gira intorno ai suoi personaggi monumentali e alle voci dei loro volti scolpiti. Parole gettate al vento come fulmini appassiti in un paese irriconoscibile per loro dove per un parcheggio sotto lo sguardo dell’eroe Garibaldi due donne se le danno di santa ragione per un (misero) posticino mentre da sotto (volando basso) ma intrallazzando meglio il Cavaliere Cazzaniga si ritrova egregiamente nel suo biancore con una statua detronizzante la storia eroica del Paese unito (che fu) e le vite uccise nella gloria delle battaglie (come l’eroe ricorda a noi tutti durante il racconto filmico).
   In una città (come Torino) sospesa e incantata dal nulla di oggi s’addensano gli scarichi delle voci futili e stantie di un uomo stanco e di famiglie mai dome per andare avanti; giacché per poco ancora (forse) e per simili idiozie ogni perduto (e sprovveduto) padre si deve inventare qualcosa che ancora c’è, un lavoro di risorsa e una fatica di acque schiuse. Acqua che perde e acqua che si chiude, voci che parlano e parole e che ci aprono. Ma oramai l’Italia confinata e accarezzata come sogno (reale) dai garibaldini ricordati si incanala nel pantano (di acquitrini inospitali) di un guazzabuglio indecoroso. Il Cazza(o)niga posto ai piedi e ripulito dalle maestranze è ancora lì per poco a controllare il via vai di una città nel marasma generale dove i passanti (oramai) guardano molto in basso (non per vergogna) e non si degnano di alzare lo sguardo per osservare da vicino la loro storia. Garibaldi, Leopardi, Verdi sono sconfortati oltre che impotenti a guardare impudicizie di umani id(tal)ioti.
   Il nuovo film di Soldini vibra in alto in un contesto sociale annaspante, sconcio e inverecondo: con uno stile personale (che riconosciamo nell’autore) di un ‘dolce-amaro’ veramente disprezzante e tagliente. Si ride (e si sorride) in ogni situazione e par di essere al centro dell’attenzione e dentro la storia: il desiderio di dare qualche sano schiaffo a ciò che tocchiamo con mano (purtroppo). Una leggerezza di ripresa e una pesantezza surreale da far invidia a certi presunti autori di serie elevata (come qualcuno ritiene di essere): Soldini ci mette la faccia ogni volta e affronta la situazione da par suo e andando oltre (oltre) il battibecco quotidiano tra i vari personaggi tutti veritieri, ben delineati e, soprattutto, capaci di dirci molto di quello che fanno (e che non si vede sempre). Un rigurgito sano e sagace di commedia e realismo da applausi: senza nulla ‘a pretendere’ il regista calca e ammanta la vita di ogni giorno con intelligenza ammiccante (ai fatti) e calzante (ai visi). Un connubio tra storie personali, modi e incontri assolutamente vivace, fresco e tristemente faticoso (per andare avanti). Buste, bustarelle, firme, telefonate, video, intrallazzi come se l’ordinario non si è mai mosso dal Paese (riunito) negli ultimi decenni. E sì che l’eroe dei due mondi…dice per sua (in)gloria di aver fatto male il suo gesto…’meglio sarebbe stato l’annessione con l’Austria..’. Un’amarezza fiaccante che il film assorbe dolcemente con un frasario mieloso e incazzature sorvolanti.
   Silvio Soldini
colpisce nel segno e non tenta scorciatoie facile e semplificazioni per una risata sguaiata. Il divertimento è spalmato per bene e la marmellata viene fatta mangiare (per) bene allo spettatore che non ne fa indigestione e ha voglia di riassaporarla per una veduta successiva e un sorriso mai volgare.
   Leo Buonvento (Valerio Mastandrea) è un padre di fatica che si alza prestissimo e torna a casa tardi la sera. Deve tirare avanti con i due figli e pagare il mutuo. Difficile tutto: la perdita della moglie (Teresa –Claudia Gerini– si ritrova con lui in un mondo dei morti-vivi verso le quattro di mattina per un caffè mai preso…insieme e per parlare di 'inferno' di qua e di là...), il lavoro, il rapporto con i figli, il dialogo e ogni cosa che incontra. Ma Diana (Alba Rohrwacher) incontrata per caso nello studio dell’avvocato Malaffano (Luca Zingaretti) –un cognome che è tutto un programma a parte– può dare qualcosa di femminile al buon Leo mentre il figlio Elia gli dà delle grane a scuola e insegue il sogno della sua cicogna ‘Agostina’ aiutato da uno strano amico, Amanzio (Giuseppe Battiston) verso una Svizzera (tedesca) ‘fuori di retorica’; invece la sorella si ‘diverte’ e si ‘incarta’ con un filmino porno su internet che un buon padre (con avvocato malaffare) riesce a scucire.
   L’intreccio tra le storie e i vari personaggi è interessante e convincente: quasi mai si notano passaggi a vuoto. Il percorso di Diana appare non sempre forte e il passeggiar per la città (nella parte centrale) appare più un allungo che un reale segno di svolta al suo cercare qualcosa (la foto al paio di scarpe penzolanti ne è il segnale di un sospeso troppo…). Qui forse si cercava altro da parte del regista e certi svuoti e inganni favolistici (lasciando e ingannando il reale vissuto) paiono dei richiami (non so fino a che punto voluti) del cinema neorealista di De Sica in “Miracolo a Milano” (1951) dove il crudo vivere nasconde e fa sognare la sceneggiatura di Zavattini (col regista e altri) nella partitura finale. L’Italia impoverita e derelitta degli ultimi s’invola senza nulla addosso. Nel film di Soldini il sogno favolistico è solo un contentino che per pochi attimi ‘disgrega’ (in positivo) il mondo reale e l’aggrumata tristezza: tutto intenerisce nel contatto cicogna-Elia. Un edificio di voci in controsenso: un volatile che parla e che ritrova (per ultimo) il monumento del Garibaldi nazionale mentre un piccione (non da meno) fa altre cose sul monumento senza testa del cavalier Cazzaniga. E una cicogna alata porta respiro in un paese da rinsaldare ma per il momento si ritrova con tutti nella Svizzera: Elio, Leo, Amanzio, Diana e ‘Agostina’. In alto qualcuno ‘ci ama’.
    Si deve dire che la città ripresa radente dall’alto in notturna è di una bellezza che nasconde (Torino prima capitale d’Italia destinata a chiudersi senza farsi riconoscere veramente e Milano appare vicina nella facile finanza) mentre i conflitti negli interni (abitati) e nei modi ‘popolari’ sono come ruderi (indesiderati). Un volo in alto e una città in luce mentre tetti e antenne disperse s’accasciano lungo il grigiore inverecondo della vita distrutta da mentori e mendicanti di accaparramenti infanganti.
    Valerio Mastandrea e Giuseppe Battiston riescono a tirare il film con i loro personaggi paralleli, distanti e vicini in modo impeccabile o quasi. E la caricatura (eccessiva nel dosaggio dei volti) dei visi ricalca il loro essere: baffi d’ordinanza per Leo e occhialoni con barba folta e capelloni per Amanzio. Un posticcio godurioso e dej-vu per indegni (mondi e cineasti) e degni (reali e falsi miti). Si deve dire che la recitazione di Valerio è  ‘virtuosa’, ‘quartierante’ e ‘disincantata’ quanto serve: mi pare (di ricordare a memoria) la sua migliore prova attoriale (sicuramente tra le migliori). Detto da chi scrive che non ha molto apprezzato certe storie e modi di recitare dell’attore romano: evidentemente Silvio Soldini ha fatto molto, anzi moltissimo. Inoltre il volto e il viso sperduto di Alba Rohrwacher (con occhialini da 'tenera-sfigata'), artista ignorata, è da luogo comune al rovescio: poveramente grande. Da ricordare (e rimane vivo il suo riuscito Fiorenzo) l’attore Shi Yang che riesce nei duetti con Leo a destare un’attenzione particolare e a indicare traiettorie e svirgolate particolari del film. Ma tutti i personaggi sono centrati e ben ‘confezionati’: non in modo semplice (da Claudia Gerini a Luca Zingaretti fino alla prima prova attoriale di Luca Dirodi nei panni di Elia).
    Da menzionare in positivo la bella fotografia di Ramiro Civita (asettica e viva, viscerale e spenta) e le musiche suggestive e incantevoli della Banda Osiris (quasi spavalde e sbeffeggianti …). La regia di Silvio Soldini è sempre attenta e precisa fin dalle prime inquadrature (l’incipit della pellicola è subito importante) e mai scade in qualità e misura. Per ultimo sono da ricordare i bei titoli di coda a mo’ di fumetto e d’antan (misterioso) e le chiusure-aperture a cerchio sui vari luoghi e personaggi (un modo di cinema classico e antesignano di comics già salutati…).
    Voto: 8-.

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