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Babycall

Regia di Pål Sletaune vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su Babycall

di alan smithee
6 stelle

Quindici anni dopo il perfido, cattivo e divertente "Posta celere", torna a farsi vedere il norvegese Pal Sletaune; questa volta con un thriller enigmatico/soprannaturale che sembrerebbe piu' nelle corde dell'altrettanto nordico (ma danese) Ole Bornedal del bel "Il guardiano di notte". Un film che ha il merito di essere cucito sulle corde e sulla grinta aggressiva propria dell'animale ferito di una convincente Noomi Rapace, qui finalmente libera da catene, anelli, e ruoli di costume che ce ne celavano la splendida moderna contemporaneita'. Un thriller teso che parte dalla fine (ma tranquilli! non vi anticipa nulla, ne' io faro' altrimenti, almeno in questa sede) e procede rivelandoci poco per volta una verita' che nel corso della vicenda crediamo di capire, per poi scoprire a dieci minuti dal drammatico epilogo che avevamo compreso poco o nulla. E cio' perche' la mente umana, se stressata e dilaniata da episodi che ci sconvolgono la mente, puo' vedere gli episodi anche piu' banali o ripetitivi di ogni giorno con l'occhio distorto ed influenzato dal dramma che ci ha afflitto, conducendoci alla follia.  Anna ci si presenta come una donna sola, in fuga col figlio decenne, in cerca di anonimato, ai ripari dalla furia di un marito violento che pare seguirla per togliergli l'affidamento dell'unica cosa bella che considera veramente meritevole di vita: il suo bambino appunto. Giunta ad abitare in un anonimo palazzone dove regna l'ordine asettico ed inquetante proprio di molte societa' del Nord Europa, la donna, in preda all'ansia e sicura di essere pedinata, compra in un negozio di elettrodomestici un baby phone in modo da poter sentire il figlio dormire, e potere a sua volta prendere sonno. In quella occasione conosce pure un impiegato, a sua volta travolto da una disgrazia familiare in corso, col quale stringe un rapporto quanto meno volto all'amicizia e alla confidenza. Una notte tuttavia il baby call intercetta le grida terrorizzate di un bambino, grazie alle quali la donna - dopo essersi accertata che non provengono dalla stanza del figlio - intuisce che in una delle abitazioni vicine alla sua si sta commettendo un altro abuso o violenza su minori, simile a quella capitata a suo figlio. La donna dunque si improvvisa detective, anche se la sua investigazione e' funestata da inquietanti episodi che pian piano finiscono per smantellare nella donna (e pure nello spettatore) quel cumulo di certezze in cui entrambi si aggrappavano. Per Anna e' in un certo senso la fine di un incubo, per lo spettatore la rappresentazione di un dramma della solitudine, che sfocia nell'orrore generato dalle conseguenze di un dolore troppo forte da sopportare. 
Siamo certamente dalle parti del thriller furbetto che se la gira un po' come gli pare, questo va detto, ma anche in un film che denuncia ancora una volta la spiazzante solitudine che regna in questi paesi nordici, caratterizzati da una societa' dominata dall'elevatissima organizzazione del welfare e dalla inimitabile fruizione dei servizi sociali a favore delle categorie piu' deboli, ma anche un paese che, pur con questi pregi, e' caratterizzato da una profonda assenza della famiglia tradizionale, da una aridita' dei sentimenti che noi mediterranei forse neanche riusciamo ad immaginare. Noi che al contrario tagliamo fondi al welfare e ad ogni servizio sociale, ma almeno ci avvaliamo, certo in misura variabile da caso a caso, dell'umano conforto di una famiglia calda e saldamente quasi sempre presente, e che supporta e sostituisce una organizzazione certo impeccabile ma pur sempre fredda ed impersonale.
Ottima prova per la Rapace, in un film che le si cuce addosso mettendone in risalto le sue piu' positive caratteristiche fisiche ed interpretative; un nuovo ruolo forte e drammatico in cui la dinamica attrice scandinava puo' finalmente tornare a sfoderare gli artigli micidiali gia' mostrati per rendere al meglio la Lisbeth Salander di Larrson, l'unico vero notevole personaggio nato dalla fantasia estrosa (e pure un po' prolissa) del compianto e celebrato scrittore svedese.

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