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Maternity Blues

Regia di Fabrizio Cattani vedi scheda film

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La recensione su Maternity Blues

di alan smithee
6 stelle

Film come questo richiedono innanzi tutto un gran coraggio da parte di produttori illuminati, che oltre a credere nella efficacia di una sceneggiatura che centra subito il drammatico argomento in questione, ma non lo nasconde tergiversando o trovando attenuanti ad un atto che probabilmente supera ogni altro quanto a drammaticita' e innaturalezza, hanno saputo nel contempo riunire tutti gli elementi migliori, dal cast per nulla scontato ad una regia che si muove bene, insistente ma al tempo stesso garbata, mentre sfiora i volti senza pace di madri sfinite per aver fallito un ruolo che la natura dovrebbe imprimere istintivamente per consentire una adeguata continuazione della specie. Il centro che accoglie queste madri infanticide e' un purgatorio senza redenzione che da' asilo a tutte coloro che, mai per una follia fine a se' stessa, ma ognuna per un motivo, una fragilita' causata da motivazioni drammaticamente concrete, hanno dato sfogo ad un raptus di qualche minuto o secondo che ha tolto loro la possibilita' di portare avanti e veder crescere e svilupparsi il dono piu' prezioso che ogni specie vivente puo' generare.

Il film vive di drammatiche testimonianze che le donne pian piano rivelano al pubblico, non per cercare attenuanti, piuttosto per aprirsi a quella parte di mondo che ancora e' disposta a non seppellirle, ma vive anche lo strazio di chi, per incuranza o per i troppi impegni, non ha saputo o voluto accorgersi del dramma interiore in cui era sprofondata la propria compagna. Andrea Osvart, un curioso mix fisico tra Charlize Theron e Barbora Bobulova, e' una ulteriore dimostrazione che un passato da modella di grande avvenenza non costituisce un pregiudizievole ad una resa attoriale davvero eccellente, e pure Daniele Pecci, nel ruolo del marito distrutto dal rimorso che cerca quasi come un automa di ricrearsi una vita ma senza mai abbandoare l'ipotesi di recuperare la bella moglie, da' vita ad una delle migliori interpretazioni che io ricordi. Ma sono tutte molto brave e credibili anche le altre "mamme" che appaiono nel film, alcune dolci e fragili, altre dure e sprezzanti almeno in apparenza, quasi per proteggersi con una scorza di ruvidezza da quella parte del mondo che ormai le condanna definitivamente e senza appello a mostri senza redenzione. Monica Barladeanu, gia' vista ed apprezzata nel notevole "Francesca" e recentemente in "Diaz", ha uno sguardo da belva impaurita che difficilmente lascia indifferenti e una grinta felina da belva ferita che attacca prima di essere sopraffatta, dalla vita, dal mondo circostante che non capisce e condanna senza appello. E finisce per essere quella roccia dura e tagliente a cui accenna una voce narrante a fine pellicola, una pietra che pero' prima o poi deve arrendersi alla furia degli elementi e cominciare a sgretolarsi, lasciando trapelare la sua umana e comprensibile fragilita'. Presentato a Venezia in una sezione collaterale come il Controcampo, il film ha alimentato polemiche per un inevitabile confronto con il film della Comencini, che trattava argomenti similari, promosso al Concorso con qualche perplessita' da parte della critica. Un confronto comunque inelegante e ormai davvero poco utile per un film che meriterebbe un riscontro di pubblico almeno pari all'interesse mediatico suscitato sulla carta: se solo gli utenti italiani trovassero piu' spesso il coraggio di considerare il cinema, almeno ogni tanto, come un qualcosa di piu' di uno svago come tanti, uno svacco per liberare la mente. Ieri sera, sabato, nella sala piu' piccola di tutta Genova (l'unica in Liguria che proiettava il film), saremmo stati non piu' di dieci gli spettatori allo spettacolo delle 20.15, mentre poco piu' in la' la gente si picchiava per vedere l'ultimo banale delirio alleniano.

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