Regia di Stefano Sollima vedi scheda film
Un fratello non si abbandona mai, neanche se sbaglia...
Tratto dal libro-inchiesta di Carlo Bonini, ACAB ci parla della "normale" vita di un celerino tra gli ingrati compiti dei servizi d'ordine allo stadio, dello sgombero di case occupate, della gestione di quella parte di umanità emarginata e negletta; senza dimenticare la dimensione familiare, quasi sempre inesistente quando non fortemente problematica.
Ma è soprattutto lo sguardo attento sull'uomo-poliziotto, sul perché abbia accettato un lavoro complesso rischioso e malpagato, che attrae il Regista. E allora viene fuori il ritratto del giovane che vuole mettere ordine alla Nazione perché non si riconosce nel presunto libertinismo innanzitutto delle istituzioni, oltre che della società stessa; o quella del ragazzo che è alla ricerca di un lavoro onesto, "perché fare la guardia è un lavoro onesto", ma poi si ritrova in un clima che lo dissuade e difatti dà le dimissioni. C'è colui che ritiene che "l'Italia agli Italiani" e quello caratteriale che ha bisogno della divisa per poter menare le mani impunemente. Salvo poi trovare qualcuno dall'altra parte che le mena più forte di lui.
ACAB non è affatto un film facile. Sollima lo scrive e dirige non tanto con taglio Pasoliniano, pur riconoscendo che talora i veri oppressi sono proprio i poliziotti, ma con atteggiamento naturalistico: li lascia fare in modo che si raccontino da soli, senza alcun commento ulteriore.
E sembra colpito da quel senso di cameratismo ogni oltre barriera ("un fratello non si abbandona mai, neanche se sbaglia") allo stesso modo della ricerca del senso dello Stato, dove però lo Stato sembra diventare un'idea personale, plasmabile asseconda delle proprie necessità e in cui le regole e i regolamenti cambiano asseconda dei propri comodi.
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