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Mission: Impossible. Protocollo Fantasma

Regia di Brad Bird vedi scheda film

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La recensione su Mission: Impossible. Protocollo Fantasma

di lussemburgo
8 stelle

Primo film con sottotitolo della serie cinematografica di Mission: Impossible, Protocollo Fantasma si propone come sequel e reboot delle precedenti puntate. Il terzo episodio, firmato da JJ Abrams qui passato alla sola co-produzione con la Bad Robot, concludeva idealmente una trilogia proponendo un’inedita variazione sul tema dell’agente segreto per l’abbinamento di una consorte. Da quell’assunto Protocollo fantasma prende idealmente le mosse, liberandosi però della zavorra coniugale nello iato temporale tra le due puntate e sfruttando questo elemento di novità a livello drammaturgico e motivazionale.

Si instaura, quindi, sulla scorta dell’esperienza produttiva di Abrams, una consequenzialità tra i film, una serializzazione inedita rispetto ai primi due lavori, tra loro del tutto autonomi, di De Palma e di Woo. E, come suo solito, Abrams “firma” la pellicola inserendovi il Sawyer di Lost e svariati riferimenti al 47, numero feticcio sin da Alias, oltre alla musica di Giacchino e alla presenza di Pegg (Star Trek). Inoltre, consapevolmente, Protocollo fantasma si rifà alle precedenti puntate con l’agente Hunt in fuga per sospetto tradimento, una francese infida (I), una trama di scampato armageddon (II), una squadra completa in azione e in­serti ironici e melò (III). Ma è anche capace di giocare con i cliché ironizzando sulla loro assenza: l’impossibilità dell’uso della maschera - elemento caratterizzante sin dal telefilm -; la frase «missione: compiuta» in risposta al titolo; la rapidità istintiva d’azione dell’agente quasi sovrumana; il messaggio con le istruzioni che stenta ad autodistruggersi. Come nella serialità contemporanea, quindi, la continuity e la consapevolezza metanarrativa diventano elementi costitutivi del racconto e parte di un dialogo diretto con lo spettatore, ritenuto edotto dell’antefatto.

Sembra inoltre sorprendere la presenza di Bird alla regia, dopo un’esperienza fatta esclusivamente nell’ambito dell’animazione (Il gigante di ferro, Ratatouille, Gli incredibili). Gli ambiti, però, rimangono ormai del tutto sfumati, come dimostra il passaggio inverso di Spielberg (Tintin) o di Verbinski (Rango) poiché la regia è, in fin dei conti, la messa in immagini di un senso, disegnato o incarnato.

I personaggi di Mission: Impossible si addicono, comunque, ad un virtuosismo visivo di inanellamento di scene d’azione poiché l’accento è posto soprattutto sulla spettacolarità cinematografica e molto meno sulla sfaccettatura psicologica (maggiormente evidente nei capitoli I e III). Il film parte in accelerato con un prologo carcerario, elemento di cerniera tra le ultime puntate, l’ironia dei titoli di testa con intesi del film in atto (un trailer integrato) su miccia accesa, prosegue con la costante messa a repentaglio fisica del protagonista, tra acrobazie e ironiche mise en abîme della temerarietà esibita. Molto più degli altri M:I, Protocollo fantasma mette in scena il corpo di Hunt e in mostra il corpo di Cruise (spesso privo di controfigure), dà consistenza all’estrema estetizzazione dell’azione delle precedenti puntate procurando ferite e abrasioni, una costante messa a nudo e in pericolo del corpo dell’attore e del personaggio con scazzottata all’ultimo sangue con la nemesi di turno, salti mortali e arrampicate improbabili rese credibili dall’imperfezione. Così, il più virtuale dei registi dà concretezza e fisicità al protagonista, ammaccandone l’intangibilità con l’ironia, difatto proseguendo la decostruzione già operata dal terzo capitolo sul piano sentimentale con il melodramma amoroso.

Hunt torna tra gli umani, rinuncia allo status “superomistico” inaugurato da De Palma per ritrovarsi in squadra e con debolezze, fisiche e psicologiche tanto che il film, più che concludere la tetralogia, si pone come elemento di avvio di una nuova serie o, più probabilmente, tramite di congiunzione con la serialità televisiva. Facendo sparire l’agente Hunt nella nebbia (nello stesso modo in cui l’agente Jack Bauer si perde nella neve dello schermo e nella città alla fine di 24), Protocollo fantasma rende evanescente il personaggio, lo libera dalla zavorra narrativa per riportarlo là da dove era stato prelevato da De Palma, nella mitologia della serie, con una squadra ormai composta e una missione quasi impossibile in attesa che, se decide di accettarla, può essere compiuta.

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