Regia di Brad Bird vedi scheda film
“Mission: Impossible. Protocollo Fantasma” (Mission: Impossible. Ghost Protocol, 2011) è il quinto lungometraggio del regista Bad Bird che per la prima volta si cimenta in un set di veri attori e per di più davanti a un’impresa d’action per nulla semplice.
Una pellicola di gran corsa a perdifiato dove ogni breve pausa è solo un sorso di ossigeno per lo spettatore; tutto s’innalza in una commistione paracadutistico-baronerosso. Il cartoonismo segue l’ombra e lo sguardo di Ethan Hunt che tenta imprese (im)possibili fino all’ultimo centesimo di produzione. Lo scontro tra i due blocchi e il ritorno della Guerra Fredda sono lo spiraglio narrativo obbligatorio per parlare di un passato inesistente e di un presente ammaliato da problemi in ogni verso. Il rinvangare il già detto dà al film un senso di appartenenza e di già scritto, ma nello stesso tempo ne aggiorna lo stilema di un genere. In ritardo dal tempo passato in un tempo(rale) di movimenti fitti e poco moderni. Un Hunt che si specchia sempre, che si addentra nel glamour-action vagliando il set e il contorno del cast a cui dà chance, forza, coraggio e convinzione. In un susseguirsi di posti e luoghi itineranti (e poco turistici), Mosca, Dubai fino in India, il partecipante impossibile cerca di dar ragione a se stesso e alle inquadrature (non sempre eccitate e fluide) riuscendo a convincere che le missioni hanno bisogno di improvvisazione e di sorprese. Come il finale tra amici (bevendo una birra) dà la sensazione di un gusto filmico familiare e poco plaudente (a se stesso), ironizzante e (un po’) sarcastico. Prendere in giro tutto il contesto con un guizzo di sociale (spicciola –perché la fine è dietro le porte-) dà un vero senso di godimento lacerante e di voglia di rivedere il sogno tracollante di un’avventura (im)possible. Ecco che il susseguirsi di quattro registi diversi dà a tutta la serie di ‘Ethan Hunt’ un qualcosa di fuori dall’ordinario: un movimento continuo dove ogni sguardo di cinepresa cattura fa(l)si immagini azionate e salomonici mondi virtuali (da vero sogno). Le immagini si sono ammorbidite nel contesto narrativo ma la stilizzazione è forte: il regista è solo un opportuno mezzo di sguardo tra mirabolanti patemi e azioni invaghite di desiderio di compagni (amicali).
Il Cremlino che fa (quasi) in frantumi non è emblema di qualcosa di ieri e forse neanche di oggi: è un modo di fuga da un qualcosa che non hai e di una corsa contro lo spettatore. Sì sto arrivando a te: perché dell’oggi vero è meglio non dire più nulla e prendere in giro il presunto ieri in scippi immaginifici e in baldanza da ballo (verso il centotrentesimo piano di un cielo da sogno sorpassato). E’ quello che fa Hunt in tutto il film, sorpassare il nemico e quando non può più (perché da sopra il parcheggio si butta) anche lui (e noi forse insieme) si butta con l’auto (d’ordinanza) di un set (quasi) sempre circolare e mai ellittico. Gallerie, tubi, fori, pozzi di discesa, cilindri di risalita, corridoi allungati e set dimezzati dai piatti pc che restingono il campo di allungo di una corsa frenetica. Per chi dalla famosa serie televisiva ha assaporato l’incanto di sottofondo e la cadenza di un cerino acceso, ecco che con piacere il suo sguardo s’inoltra in mo(n)di sofisticati (finche si vuole) ma piene di un’artigianalità sopraffina e di intuizioni (di cose già dette). “Come sapevi che non sparavano a noi”….quando Hunt e il socio si salvano da acque profonde e da spari senza sosta. “Solo intuzione”….si spara sempre a chi si muove ma non certo si può raggiungere a chi si muove con sofisticata intelligenza.
Radente è il volto di Tom Cruise ogni (qual)volta che il nemico si gira un atimo. Un cornicione da toccare con piedi nudi e uno scarico di sabbia sulla sua silhoutte danno il gusto di un vivo corpo a corpo (e nonostante i mezzi) il suo personaggio rimane al guado tra un’action primitivo e una corsa fumosa tra grattacieli fumanti (di buio e di luce specchiata –basta confrontare le scene grattacielo tra il numero tre e quest’ultimo-) in un oriente vicino dove la ricchezza è sfoggio di inutili parodie (catacombali). E’ lo stesso cinema seriale si chiude nell’intimo di un cartoon stilizzato e poco propenso all’entusiasmo fastoso. Un set in lungo e in largo che si (rac)chiude in uno studio (tra quattro mura d’appartamento) minimo per un fumetto irrispettoso della guerra di ieri, dei personaggi di oggi e del missile (cubano) oramai senza riflessione sociale. Il gioco delle azioni (cine) è agli sgoccioli come quello delle borse (finanziarie). Andiamo a divertirci con sorriso senza dirlo in giro. Ma alla fine la faccia dell’attore cinquantenne ha di nuovo riconquistato il set (fuori) del mo(n)do di fare cinema. Nuovo e vecchio a braccetto (con passione). Lo spettatore si dimena per uscire ma ha voglia di rientra<re subito e (ri)vedere tutta la serie compreso il protocollo (di un foglio rubato).
Voto 7½
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