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Cut

Regia di Amir Naderi vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Cut

di ed wood
8 stelle

Film anomalo di uno dei registi più anomali degli ultimi 20 anni. Dopo aver co-fondato il nuovo cinema iraniano con alcune opere fondamentali di fine anni 80, ("Il corridore" e soprattutto "Acqua, vento, sabbia"), sulla scia di un "realismo visionario" piuttosto distante dalla riflessione sulla dialettica realtà/finzione operata dal suo amico Kiarostami, Amir Naderi approda negli States dove per un ventennio osserva e trasfigura con l'occhio alieno dello straniero il fascino ("Manhattan by numbers" e il meno riuscito "ABC Manhattan") e le aberrazioni ("Vegas") della Terra Promessa. Per approdare infine (per ora) nel Giappone yakuzaro già perlustrato in lungo e in largo dai vari Kitano e Miike, solo per citare i più famosi: e nasce così "Cut", pellicola teorica se ce ne è una, post-cinematografica, post-cinefila, cine-maniaca. Uno dei film più retorici e declamatori che abbia mai visto: un comizio a favore del cinema d'autore. Dovrebbe trattarsi di un grave difetto, a regola, ma non in questo caso, poichè l'oggetto della retorica è il cinema stesso, la bellezza travolgente dell'immagine filmica. "Cut" è un atto d'amore verso il cinema, ma soprattutto CON il cinema: è un amplesso continuo, masochista, gioioso, dolente ed estatico con le sequenze che hanno fatto la storia del grande cinema. Il corpo nudo del protagonista (un giovane filmmaker indipendente che organizza appassionatamente cineforum e che si fa martoriare di pugni per pagare il debito che il fratello ha contratto con la yakuza) viene attraversato dalla proiezione dei fotogrammi di Mouchette, Sentieri Selvaggi, Sherlock Jr (peraltro il primo capolavoro "meta-cinematografico"), La Strada ed altri, entrando in risonanza con la vivida forza poetica delle immagini in movimento. Il cinema lenisce il dolore di un volto e un addome devastati dai lividi; la semplice evocazione di titoli e registi attutisce il colpo delle percosse. La volgarità dello scambio di banconote, lo squallore dei cessi in cui avviene la tortura, l'insostenibile ed iniquo bombardamento di pugni si alterna e si sovrappone, antifrasticamente, al calore rassicurante dei feticci della Settima Arte (poster e bobine), ma soprattutto alla luminescente, immateriale, magica luce del proiettore e della poesia che sprigiona. Ciò che impedisce a "Cut" di prendersi le 5 stelle è, purtroppo, una certa prolissità e ripetitività: è vero che l'ostinazione e il fondamentalismo cinefilo e cine-libertario costituiscono la ragione d'essere dell'intero film, però qualche lungaggine, qualche take troppo prolungato sui volti attoniti della barista e del vecchietto, l'insistenza di Naderi sulla loro tanto inevitabile quanto inutile pietas, annacquano la sostanza di un film che avrebbe dovuto avere la concisione di uno slogan, di un inno, di un urlo di disperazione, di una chiamata alle armi. Mentre vediamo le immagini di una città e di una folla indifferenti, sentiamo il protagonista inneggiare alla purezza del cinema, lanciare anatemi contro il potere corruttivo dei soldi, promuovere un cinema che sia conemporaneamente verità, arte e intrattenimento, con un timbro di voce così intenso e sgolato da ricordarmi quello di Ian MacKaye, voce morale dell'hardcore-punk americano. Il countdown finale dei 100 pugni per 100 film è semplicemente uno dei momenti al contempo più ludici e più strazianti del cinema dei nostri giorni. Gigantesca metafora dell'ossessione per il cinema, "Cut" non esclude risvolti problematici: la passione del protagonista per la celluloide gli ha impedito di ascoltare il grido di aiuto di un fratello ai ferri corti con la yakuza; il sacrificio della sua incolumità fisica è una scelta dovuta più alla volontà di sopravvivere per la causa (fare e promuovere cinema di qualità), che non per vendicare un fratello che tuttalpiù viene omaggiato con un gesto smaccatamente "cinematografico" (farsi torturare nello stesso posto in cui fu ucciso, in modo da farlo rivivere simbolicamente); la richiesta di un presitito alla mafia, con cui si conclude il film, suggerisce beffardamente che il cinema non sarà mai puro, poichè indissolubilmente legato al sistema industriale e finanziario. Questi aspetti fanno di "Cut" un film-tesi tanto empatico e morale, quanto ambiguo e sfaccettato. Un inno, certamente; una invocazione, con tanto di retorica: ma anche una presa d'atto di una purezza oramai perduta.

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