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La kryptonite nella borsa

Regia di Ivan Cotroneo vedi scheda film

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La recensione su La kryptonite nella borsa

di LorCio
8 stelle

È giunto il momento di fare i conti con il partenopeo Ivan Cotroneo, sceneggiatore, scrittore, traduttore e, da questo film, regista. Un letterato pop, lo si potrebbe definire, capace di spaziare con eclettico spirito di adattamento e costante impegno, in grado di evitare le trappole dell’intellettualismo e dello snobismo con arguzia ed attenzione. Il suo esordio si chiama La kryptonite nella borsa ed è la trasposizione di un suo romanzo di successo, nonché una sorta di stato delle cose nell’itinerario di Cotroneo: nato artisticamente con Pappi Corsicato (con cui ha raccontato un certo substrato napoletano), si è fatto le ossa con Renato De Maria (Paz! era un’operazione di colossale rischio, e se l’è cavata discretamente) e Daniele Luchetti (ha anticipato il filone giovanilista con il peraltro innocuo Dillo con parole mie) ed è esploso grazie ad una serie televisiva (il musical casereccio Tutti pazzi per amore, il miglior prodotto RAI degli ultimi vent’anni), ad un mèlo viscontiano (Io sono l’amore) e ad una delle più riuscite commedie del decennio (Mine vaganti, la rinascita brillante di Ferzan Ozpetek).

 

Nel suo passaggio dietro la macchina da presa confluiscono quegli elementi che ce l’hanno fatto apprezzare come uno dei più interessanti sceneggiatori del nostro panorama: canzoni in forma di pseudo-musical (i balletti che hanno ben poco di artefatto), la rappresentazione della famiglia meno mulinobianchesca e più contraddittoria (tema già affrontato, in diversi modi, nei film di Guadagnino e Ozpetek, l’uno in maniera più destrutturante e l’altro con un tono più conciliatorio), la commedia come forma della tradizione e del rinnovamento, non aliena da toni più drammatici (abbiamo ancora negli occhi l’indimenticabile nonna di Ilaria Occhini in Mine vaganti).

 

Cotroneo ci mette di fronte ad una storia che trasuda di sincera vitalità, non a caso pregna di situazioni autobiografiche che si rifanno ad un’infanzia che tutti i personaggi dicono complessa ma che in realtà, per dirla alla Svevo, è solo bizzarra. Il protagonista sin dai primi giorni di vita ha suscitato la preoccupazione dei parenti per la sua bruttezza (come nota la spigliata zia Titina), per la sua mancanza di sonno (zia Titina e zio Salvatore lo passano sopra al gas), per la sua indifferenza nei confronti del calcio (pena di papà Antonio), per la sua miopia.

 

Ha un solo vero amico: suo cugino Gennaro, che si crede Superman. Poi viene schiaffato sotto il 111 barrato e diventa così l’angelo custode del bambino. Che si ritrova a dover fronteggiare la depressione di mamma Rosaria, i tentativi di buona paternità del fedifrago Antonio (il filone sui tre pulcini è esilarante), le sregolatezze hippie degli zii Titina e Salvatore, le voglie matrimoniali di un’amica di mamma brutta e zitella, le angherie della maestra e dei compagni di scuola. E se fossero gli altri il problema e non lui, come tutti si ostinano a dire? Che abbia ragione Gennaro Superman, che appare e scompare con l’evanescenza dei fantasmi?

 

Delizioso e squisito (che, per inciso, penso possa avere un certo mercato anche all’estero) racconto di formazione corale, filtrato attraverso gli occhiali rotti dell’adorabile protagonista (il bravissimo e spontaneo Luigi Catani), in cui non sono nascoste le ispirazioni truffautiane (il balcone di Antoine Doinel nel finale!) e una certa nostalgia per niente lamentosa e tutt’altro che consolatoria. È raro di questi tempi assistere ad un film con il sorriso sulle labbra dalla prima all’ultima scena, come se fossimo attraversati da una brezza di spensierata simpatia.

 

Complici le musiche d’epoca (da Mina a Nancy Sinatra passando per i The Fifth Dimension), i fantasmagorici costumi doc (le camicie del padre e i pantaloni dello zio su tutti), una stagione atmosferica che alterna sole a pioggia, un complesso di personaggi da urlo (Valeria Golino e Luca Zingaretti inattesi; Libero De Rienzo e Cristiana Capotondi eccellenti; i napoletanissimi Lucia Ragni, Rosaria De Cicco e Sergio Solli che recitano come cristo comanda; la partecipazione di Fabrizio Gifuni; l’apparizione di Anita Caprioli nel ruolo della Madonna!) e un certo sapore di tempo perduto che rende il racconto emotivamente coinvolgente. Finora, il miglior film italiano della stagione.

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