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Wuthering Heights

Regia di Andrea Arnold vedi scheda film

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La recensione su Wuthering Heights

di alan smithee
8 stelle

Andrea Arnold al terzo film dopo le tensioni sospese ed "antonioniane" della fantastica ed ermetica opera d'esordio "Red Road", dopo il dramma familiare contemporaneo a sfondo sociale in stile "loachano" del riuscitissimo e molto coinvolgente "Fish Tank", si rivela una delle più importanti ed innovative registe in attività e questa ennesima trasposizione del celebre romanzo di Emily Bronte si mette in luce come una delle più originali, innovative, coraggiose e moderne viste fino ad oggi sugli schermi cinematografici e televisivi.
La Arnold, che assieme alla sceneggiatrice Olivia Hetreed si è presa cura di riscrivere e semplificare l'ardita e complessa trama che costella di persosnaggi e capitoli una vicenda di amori impossibili e morti premature presente nell'unica famosa e coinvolgente opera di Emily Bronte, basa la sua storia su un canovaccio di dialoghi scarno ma alquanto efficace: una sceneggiatura volutamente povera e rigorosa che utilizza il dialogo come un arma di difesa dei protagonisti contro le asperità di una vita difficile e a salvaguardia dei pochi spiragli di speranza: la regista inglese elimina inoltre il lungo celebre flash-back che campeggia maestoso e ridondante (per quanto riuscitissimo) ad esempio in una delle più celebri ed apprezzate versioni, quella del '39 ad opera di William Wyler con Laurence Olivier e Merle Oberon ("Una voce nella tempesta", cosi' suona lo sciocco ed inutile titolo italiano); stessa sorte in sottrazione per quel che riguarda gli artifici temporali, ricondotti un un unico stacco decennale con cambio di protagonisti come unico mezzo per scandire un passaggio epocale altre volte più graduale o addolcito da una narrazione che, a differenza di questa, tende a coivolgere emotivamente lo spettatore con un rutilante susseguirsi di avvenimenti; conclusione tragica in corrispondenza con la morte di Catherine, trascurando in tal modo tutta la concitata parte conclusiva del romanzo, evidentemente troppo al di fuori della storia che interessa la regista.
La Arnold procede con la cronologia naturale degli accadimenti, strutturando in ognuno dei due tempi di durata del film una coppia differente di attori che impersoni Headclift (per l'occasione non più solo e semplicemente un trovatello dalla carnagione scura di probabile origine meticcia, ma un vero e proprio nero, per quei tempi cosa rara e vera e propria attrazione circense) e Catherine prima adolescenti, poi gli stessi nel momento in cui si ritrovano dopo una decina d’anni in occasione del ritorno a casa del ragazzo.
La narrazione della vicenda procede spigolosa, dura, a volte spietata, evirata il più possibile delle atmosfere barocche e tuttavia appassionati che trasudano dalle pagine della celebre scrittrice inglese.
Coerente con questa impostazione a dir poco moderna, nel suo contesto storico a suo modo rigoroso, spicca altresì la singolare ambientazione montana dove Thrushcross Grange è rappresentato non più come un castello di antichi fasti ora in rovina, bensì come un casone di pietra grezza di una famiglia di pastori semplici ma piuttosto benestanti. Attorno a questo gelido e piuttosto poco ospitale focolare si distende una valle che alterna vedute, paesaggi verdi e armoniosi a cime rocciose ed inospitali (le "wuthering heights" naturalmente), che nonostante la loro  asprezza costituiranno tuttavia il teatro naturale che renderà possibile il nascere di una storia d'amore impossibile, tormentata e decisamente sfortunata.
La Arnold alterna il corso della sua storia volutamente solo abbozzata con riprese minuziose e accurati primi piani dedicati alla rappresentazione, quasi documentaristica tanto risulta particolareggiata, di una natura aspra e poco conciliante, dove il profumo dei fiori appena sbocciati soccombe all’olezzo prepotente delle carcasse in decomposizione, dello sterco animale e al fetore della melma limacciosa che circonda il cortile inondato da una pioggia incessante; questa efficace antitesi lascia nello spettatore un vivo senso di disagio e di impotenza nei riguardi di una natura che per un attimo appare meravigliosa e paradisiaca, mentre poco dopo ti affligge con i tormenti delle intemperie proprie di un clima difficile da sopportare, fatto di raffiche impetuose e piogge rovinose, di freddo e di stenti che decimano i più deboli e devastano gli animi di chi riesce a sopravviere.
Riprese ardite grazie a movimenti rapidi, scattanti e nervosi, tipici di una cinepresa leggera che così poco si adatta, almeno apparentemente, alla classicità della storia: questa tecnica coraggiosa ed innovativa finisce per essere tra gli elementi più potenti di una messa in scena che privilegia anche i primi piani dei bei volti genuini e schietti dei due protagonisti nelle due epoche in cui la storia si sviluppa.
A costoro seguono spesso primi piani particolareggiati di insetti nei loro attimi di ordinaria sopravvivenza, piume colorate conservate dopo la pulitura della cacciagione, scene statiche di caccia con inquadrature insistite sui cadaveri degli animali appena catturati, rappresentazioni forti e sempre fastidiose di crudeltà perpetrate sugli animali da cortile da parte di un’infanzia che risulta già istintivamente vendicativa e sopraffattrice per non essere a sua volta sopraffatta e durare troppo poco.
Headclift è il nome che viene dato ad un trovatello di colore che il capofamiglia Mr. Earnshaw incontra al suo rientro a casa e che soccorre più per venire incontro ad un dovere religioso che per reale volontà di mutuo soccorso. Il ragazzo diventa dunque il terzo fratello, quello da sfruttare con lavori pesanti ed umili, di una famiglia composta solamente più da un padre e due figli adolescenti inquieti, il maggiore di nome Hindley, geloso, invidioso e vendicativo, e la sorella Catherine, col quale Headclift instaura invece poco per volta un rapporto intenso e complice, molto intimo e molto poco fraterno: la giovane infatti viene attratta visibilmente dal bell’aspetto del singolare fratellastro dalla pelle ambrata e seducente.
Cime tempestose, soprattutto nella versione della Arnold, che tralascia voci misteriose, fantasmi e altre amenità barocche e troppo puerili per concentrarsi sul dramma anche sociale di un amore impossibile e scandaloso, punta dritto sugli ostacoli e sulle sventure nate dalle mille avversità di una vita che si prende gioco di intere esistenze, lasciando sempre spazio alla morte che, inevitabile e crudele, attende inesorabile di far visita ai superstiti togliendo loro quanto di più caro hanno conservato in fondo al proprio cuore.
Il linguaggio moderno e talvolta ostico della Arnold arricchisce e valorizza un romanzo spesso trasposto in modo troppo artificioso e costruito (anche nella gotica ma bella e forse più famosa versione di Wyler con Laurence Olivier già menzionata sopra), accentuando e risaltando in modo più realistico la risolutezza rabbiosa del giovane protagonista.
Al quale non vediamo (ma semplicemente comprendiamo) compiersi azioni anche straordinarie come quella di arricchirsi in chissà quali modi,  tornando da signore nella sua vecchia dimora, riscattandola dal debosciato fratello, sciancato e vedovo, ma nonostante ciò impossibilitato a modificare un destino che lo ha sempre voluto vicino, ma nel modo sbagliato, alla sua amata Catherine; costretto a soffocare ogni volta quell'ardore carnale così inadeguato al ruolo di fratello a cui lo ha relegato un destino beffardo ed ingiusto.
I silenzi enigmatici ed inquietanti che separano gli individui che interagiscono in quel paesaggio che parla più di ogni altro personaggio, magari con la lingua impetuosa del vento e degli altri elementi scatenanti e furenti di una natura severa e poco conciliante, sono la rappresentazione dell’inevitabilità di un destino verghiano a cui è inutile opporsi, e che tuttavia vede il nostro indomito protagonista affrontare fino alla fine, anche quando rientra ricco e benestante da una sua fuga che, come accennavamo, non ci è dato conoscere nei dettagli; ma anche gli agi e l’esperienza si riveleranno inadeguati al raggiungimento dell’unico obiettivo importante e necessario per l’uomo: l'amore totale per una donna che il destino tiene sempre troppo lontana e inaccessibile.
Amore, morte, impossibilità di una soluzione almeno in parte positiva in questa vita di sofferenze e rinunce: temi cari a tutte le sorelle Bronte, che la Arnold rielabora coraggiosamente ed affronta con una passione e un trasporto che forse solo una sensibilità femminile è in grado di trasmettere con questa potenza e questa fierezza davvero inconsuete.
Bravi e pressoché sconosciuti i quattro protagonisti che ricoprono i ruoli di Headclift e di Catherine nelle due differenti epoche della vicenda, con una menzione speciale per la splendida Kaya Scodelario, il cui volto perfetto campeggia sulla affascinante locandina che accompagna questo bellissimo film.

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