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War Horse

Regia di Steven Spielberg vedi scheda film

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La recensione su War Horse

di AtTheActionPark
6 stelle

Credo che il problema di War Horse non risieda tanto nell’aver “tradito” John Ford – anche perché, a volte, è proprio “tradendo” il maestro che si contruisce qualcosa di bello. Così come il suo pregio non è nemmeno quello di aver recuperato “il classico” senza l’uso della citazione (Giona A. Nazzaro su Filmidee). Credo che i difetti (e anche i più rari pregi) del film siato tutti da ricercare nel film in sé, senza effettuare setacci nella Storia del cinema e scomodare grandi nomi della Hollywood classica, ma piuttosto, guardando al cinema di Spielberg, e confrontando cosa è rimasto e cosa è cambiato.

Innanzitutto, in War Horse abbiamo un protagonista in tutto e per tutto monodimensionale (anche se so già che qualcuno avrebbe il Robin Hood di Curtiz da sfoderare a sua difesa; certo è che non siamo più nel 1938). L’assenza di empatia che si può provare per questo personaggio “fatto e finito” (nessun percorso di formazione per il nostro Albert, ben lontano da altri personaggi spielberghiani che, monodimensionali, non lo erano affatto: pensiamo al protagonista del capolavoro dimenticato L’impero del sole) si confronta, poi, con l’amore atavico e immotivato del protagonista per il cavallo Joey, sentimento rimarcato fino alla nausea. Così come monodimensionali sono molti personaggi di contorno: fra tutti, quel colonnello inglese, dal sapore quasi disneyano, che per primo acquista il cavallo dal padre di Albert. Possono ancora funzionare, oggi, questi “tipi” cinematografici? Forse, ma richiedono, credo, un eccessivo compromesso verso lo spettatore odierno, abituato oggigiorno, per forza di cose, a visioni di certo più sofisticate, e che con difficoltà potrà accettare (il “classico” cambia, non è un’entità immobile come penso sostenga, nel suo interessante articolo, Nazzaro).

Altro problema basilare del film di Spielberg risiede nella “umanizzazione” dei comportamenti del cavallo, che risultano alla lunga stucchevoli. Come per Lessie e RinTinTin, è attraverso il montaggio che all’animale viene concessa una volontà “umana”, creando episodi, per chi scrive, di dubbio gusto: su tutti, la “scelta” di Joey di sostituire il cavallo-compagno al traino delle armi da guerra.

Detto ciò, nel film non si può non notare la mano sapiente di Spielberg nell’uso degli spazi, nelle entrate in campo tipiche del suo cinema, nell’utilizzo “intensivo” di ogni mezzo ai fini dell’inquadratura . Così come la fotografia, stupenda, fa di certo la sua parte – pensiamo al finale stilizzato, tutto costituito da silhouette, a metà strada tra La morte corre sul fiume e Sentieri selvaggi. Eppure, quella facoltà, tutta spielberghiana, di rendere verosimile ciò che non lo è, in War Horse si perde, rimanendo solo inverosimile, chiusa nelle sue meravigliose immagini, in una scatola forse troppo intellettuale (ma è per intellettuali Spielberg?) per poter essere veramente vissuta.  

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