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L'apollonide (Souvenirs de la maison close)

Regia di Bertrand Bonello vedi scheda film

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maurizio73

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su L'apollonide (Souvenirs de la maison close)

di maurizio73
7 stelle

Una cupa elegia crepuscolare che illustra con gusto filologico gli ultimi scampoli di una forma di schiavitù femminile ormai destinata a svincolarsi dalle prassi poliziesco-amministrative del vecchio secolo e proiettarsi nel libero mercato del sesso a pagamento che affolla i boulevard delle periferie urbane da più di un secolo a questa parte.

Nelle vicende quotidiane di un gruppo di prostitute parigine 'iscritte' a cavallo tra i due secoli, la messa in scena dei rituali di un amore borghese che dà sfogo ai più brutali istinti di possesso ed alle incoffessabili fantasie erotiche della classe dominante. 

 

L'Apollonide - Souvenirs de la Maison Close - Film (2011) - MYmovies.it

 

 Etenim non est creatus vir propter mulierem sed mulier propter viru

S.Paolo I Cor. IX, 9

 

Nel suo altalenante ma sempre coerente programma di studio sulle dinamiche del potere nella società francese, il controverso Bertrand Bonello si attarda sullo spaccato storico di un fondamentale spartiacque della modernità sociale, quello che al volgere del secolo accompagna il perdurante silenzio legislativo in materia di prostituzione al colpo di coda di un neoregolamentarismo che sostituisce al modello reclusivo e punitivo che precede la Terza Repubblica con quello ormai al crepuscolo di una casa di tolleranza in cui si riproducono le forme di controllo sociale (asservimento economico, segregazione, medicalizzazione) in grado di dare sfogo in tutta sicurezza agli istinti sessuali ed alle ansie sifilofobiche della classe dominante. Lontani dal controllo panoptico di una famigerata police des moeurs bersagliata dalle numerose campagne abolizioniste di fine secolo, Bonello istituisce la quasi esclusiva unità di luogo (fatta eccezione per una scena di evasione campestre a La Maison Tellier) attraverso la claustrofobica scenografia di una lussuosa casa di tolleranza parigina, confinando la variegata ed affiatata fauna di filles en carte dai vezzosi nomignoli esotici nella clausura prostituzionale di un modello economico ormai in declino e riproducendone, con mirabile accuratezza filologica, decorazione d'interni e dinamiche sociali, rapporti di subordinazione e affiliazioni emotive, presupposti teorici ed applicazioni pratiche. Se è vero che il film sembra confinare nelle sue due ore piene una sorta di compendio storico documentato sull'ambiente prostituzionale parigino che non dimentica di ricapitolare tutto l'armamentario sociologico del caso (abitudini dei clienti, registro della tenutaria, vessazioni padronali, prossenetismo, coercizione medica, simulacri dell'intimità borghese, solidarietà di casta e perfino un riferimento all'emergente antropologia criminale di Pauline Tarnowsky e Cesare Lombroso), l'autore dimostra di tenere insieme le due tematiche fondamentali di un cinema che concilia verità pscologica e rappresentazione ideologica, in un gioco di rimandi che si accanisce sul corpo di donne recluse con tutta la violenza che sembra scaturire da un sistema di potere esterno che risponde alle incoercibili esigenze della cloaca seminale teorizzata da Parent-Duchatelet decenni prima e all'estremo tentativo di segregare in un harem del capitalista rigidamente gerarchizzato quelle devianze sessuali da stornare strenuamente dall'ideale morale della famiglia borghese dei nuovi ricchi (industriali e possidenti cui fa cenno la tenutaria vedova con prole durante la trasferta bucolica). Tra l'ebrea sorridente che piange le bianche lacrime del seme dell'uomo che l'ha sfigurata e la bella italiana sfigurata dalla sifilide pianta sul letto di morte di una novella Lucie Pellegrin, un gineceo prezzolato che replica i clichè letterari che gli scrittori borghesi del tempo attribuivano alle tipologie femminili delle donne di vita, compresi l'amore per la natura, l'istinto materno, una pia religiosità (un crocefisso appeso sul talamo di piaceri tutt'altro che spirituali) ed una solidarietà umana che si fa resilienza corporativa alle vessazioni del potere, pur nella consapevolezza di una inevitabile sconfitta che, vive o morte, le sfratterà dalla decadente dimora in cui sono state a lungo recluse. Una cupa elegia crepuscolare che illustra con gusto quasi documentaristico (salvo qualche compiaciuta ridondanza nel montaggio e l'uso di musiche intradiegetiche civettuolamente anacronistiche) gli ultimi scampoli di una forma di schiavitù femminile ormai destinata a svincolarsi dalle prassi poliziesco-amministrative del vecchio secolo e proiettarsi nel libero mercato del sesso a pagamento che affolla i boulevard delle periferie urbane da più di un secolo a questa parte. Presentato al Festival di Cannes 2011, si aggiudica il premio per i migliori costumi ai domestici Premi Cesar 2012. 

 

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