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Le donne del 6° piano

Regia di Philippe Le Guay vedi scheda film

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La recensione su Le donne del 6° piano

di mc 5
10 stelle

Devo idealmente (ma sentitamente) ringraziare una multisala di provincia, non troppo distante dal mio paese, se ho avuto la preziosa occasione di ripescare questa pregevolissima pellicola francese uscita nelle sale ormai un mese fa. Il film ha avuto la copertura del consueto giro di sale d'essai che -per motivi contingenti di carattere logistico che non intendo qui approfondire- non sono solito frequentare, e insomma me l'ero perso ma ora l'ho felicemente recuperato. E' uno di quei piccoli grandi film che, godendo di una distribuzione indipendente, possono contare su un circuito di piccole sale, ma nulla a che vedere con la potenza di fuoco (a livello di penetrazione commerciale) delle pellicole che occupano le sale dei multiplex. Eppure qualche volta accadono i miracoli. Accade che un film piace, incontra i favori di un pubblico che, col passa parola, ne alimenta la crescita esponenziale. Risultato: il film staziona da due o tre settimane nella top ten del box office, tanto che una multisala di provincia (quella cui mi riferivo in apertura) sceglie di proiettarlo nell'ambito della normale programmazione estiva, peraltro mi risulta con esiti discreti. Il percorso commerciale di questa pellicola testimonia che se un film è fatto bene, non è ostico, è leggero e romantico ma con dignità, può arrivare a muovere numeri considerevoli. Diciamo subito che il film è frutto di un progetto intelligente e di notevole impegno su diversi fronti, e tuttavia non si tratta affatto di pellicola "difficile". Anzi, lo stile è gradevolissimo, i personaggi amabili e mai banali. La vicenda è collocata nel 1962, a Parigi. Ci troviamo in ambito medio-borghese, presso una famiglia sicuramente benestante, composta da un altezzoso consulente finanziario e dalla di lui consorte, annoiata e svagata, che spende le sue giornate tra partite a carte con le amiche e sedute di pedicure. E volendo potremmo aggiungere quel paio di nullità che sono i due inutili rampolli. La coppia ha un atteggiamento assolutamente distaccato nei confronti della servitù (nei momenti più generosi vengono esibite patetiche pillole di paternalismo). E quando si irritano, licenziano. A sostituire l'anziana domestica che si era rivelata troppo polemica, arriva una giovane spagnola, Maria. Gran parte del piacere della visione coincide proprio nell'assaporare come, sequenza dopo sequenza, la personalità forte e dignitosa di questa splendida ragazza riesce ad aprire una breccia nel muro di egoismo e vacua supponenza di questa famiglia borghese. Il meccanismo di questo percorso è complesso, e si compone di una moltitudine di micro eventi, ciascuno un tassello verso il cambiamento, verso l'evoluzione e la consapevolezza. L'aspetto centrale è il rapporto (dapprima ambiguo e diffidente) tra Maria e il "padrone". Un rapporto che si evolve in modo sorprendente, generando alla fine nell'uomo un mutamento radicale e irreversibile, che lo porterà perfino a mettere in discussione il proprio vincolo matrimoniale e il suo stesso status di superbo benestante, incassando dalla giovane Maria una lezione di umiltà che lo cambierà per sempre. Ma oltre ai due personaggi citati, è presente nella vicenda un terzo elemento protagonista, che è corale, vale a dire la comunità delle domestiche spagnole emigrate per lavoro in Francia, e di cui la stessa Maria fa parte. Si tratta di un nucleo di donne molto affiatate e caparbie, una galleria di personalità ricche di umanità e di senso della solidarietà. Ognuna di queste donne ha alle spalle una storia difficile, ma sono tutte accomunate dall'intento di guadagnare qualche soldino da inviare ai famigliari nella natìa Spagna. E' piacevolissimo assistere alle schermaglie e ai dialoghi che intercorrono tra queste signore, ed è curioso notare l'impatto tra il "padrone illuminato" e la comunità delle domestiche, alle cui rigorose abitudini e al cui spartano stile di vita l'uomo si adegua in un estremo scatto di dignità, buttando alle ortiche agi e privilegi fino a quel momento accumulati. Il film, anche grazie ad un commento sonoro davvero efficacissimo, riesce a coinvolgere totalmente il pubblico, che partecipa divertito e appassionato, e non lo dico per esaltare i miei gusti personali, ma perchè ho riscontrato la reazione degli spettatori presenti in sala (da notare che si trattava di multisala e dunque di pubblico popolare: niente universitari cinefighetti da sala d'essai del centro bolognese). E questo mi conforta nell'illusione che c'è ancora qualcuno che
non va al cinema solo per poter dire ad amici e colleghi che "anche lui" ha visto i Pirati, I Maghetti, i Supereroi e via blockbusterando. Il film racconta una vicenda del 1962, dunque in quella Parigi il vento del '68 era ancora lontano a venire e nessuna rivoluzione socioculturale era all'orizzonte. Eppure il percorso umano e sociale di questo signore benestante che rinnega i propri privilegi può essere interpretato come un'anteprima di ciò che sconvolgerà la Francia di lì ad appena 5 anni, o addirittura come una sorta di personale morbida lettura della lotta di classe. Ma c'è un'altra riflessione, più urgente e importante, che il film ci stimola. Il regista ci mostra le vite grame ma piene di dignità condotte da queste donne immigrate per lavoro negli anni '60, ma il riferimento all'oggi è palese, e alle storie laceranti di persone che ai nostri giorni per sopravvivere devono emigrare altrove. Le vite di queste donne sono difficili ma raccontate coi toni lievi di una commedia, eppure il collegamento con l'attualità resta evidente. E chissà se altri che hanno visto il film hanno fatto il mio stesso pensiero: osservando il legame di solidarietà che si crea tra queste immigrate spagnole, non ho potuto fare a meno di pensare a quei gruppetti di badanti rumene che ognuno di noi può vedere, soprattutto nel weekend, nei parchi o nei giardinetti, quando si ritrovano a chiacchierare amabilmente fra loro, probabilmente per scambiarsi esperienze o per alimentare il ricordo del proprio paese. Per una volta eviterò le mie consuete lodi al cinema francese, ma lasciatemi dire che ancora una volta esso esprime in pieno la propria vitalità ed ispirazione: commedia perfetta, tocco leggero, zero volgarità (e noi italiani stiamo a guardare). Questo film è anche commedia corale, che si avvale di una schiera d'attori sublimi che andrebbero citati tutti, ma lo spazio mi impone di sceglierne solo tre. Innanzitutto il formidabile protagonista Fabrice Luchini, ormai colonna conclamata del cinema d'oltralpe, e per il quale non ci sono parole. Per molti la bravissima Sandrine Kiberlain sarà stata una piacevole scoperta, ma io l'avevo amata già nel "Piccolo Nicolas" dove interpretava una maestra di scuola...attrice fantastica (qui riveste il ruolo della svanita moglie del protagonista). E infine la sorpresa più bella: nel ruolo centrale della domestica Maria, ecco Natalia Verbeke, giovane attrice argentina di cui non avevo alcuna conoscenza. La Verbeke è magnifica nell'aderire ad un ruolo che lei interpreta con una intensità tale da indurre quasi alla commozione. Il suo sorriso aperto e sincero è l'ultima immagine prima dei titoli di coda. UN SORRISO DI DONNA COSI' BELLO FA BENE AL CUORE. E vale il prezzo del biglietto.
Voto: 10

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