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Confessions

Regia di Tetsuya Nakashima vedi scheda film

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La recensione su Confessions

di maurizio73
6 stelle

Insegnante in una scuola media, la professoressa Moriguchi si congeda definitivamente da suoi studenti confessando che i due responsabili della morte della figlioletta, tragicamente annegata in una piscina, si nascondono tra gli alunni di quella classe e di aver messo in atto nei confronti di costoro una terribile e ferale vendetta...
Costruito come uno scanzonato e delirante mosaico di false confessioni ed ingannevoli verità ed attraversato dalla feroce ironia di un implacabile nichilismo, il film di Nakashima è uno  sfrontato e forse troppo compiaciuto caleidoscopio narrativo sospeso tra onirismo ed esibità teatralità, dove le dimensioni del tragico e e dell'assurdo sembrano avviluppati e trasfigurati dalle spiazzanti folgorazioni di una irrefrenabile visionarietà. Animando il suo cinema delle slanci e delle pulsioni autodistruttive di una generazione in bilico tra medialità e incomunicabilità, tra pregiudizio e consapevolezza, tra tenerzze pop e crudeltà sanguinaria, l'autore si sposta sul terreno minato dei rapporti generazionali (maestra-discepolo, madre-figlio) riducendone le motivazioni psicologiche al puro pretesto narrativo per un gioco al massacro che finisce per non risparmiare nessuno e suggerendo, attraverso una struttura ed un montaggio furbescamente architettati, le istanze di un relativismo etico e di una manipolatoria ambiguità del linguaggio che si risolvono in una finale resa dei conti dove tutti i fili sembrano riannodarsi e stringersi attorno al collo del colpevole protagonista, nella sorda deflagrazione di un crudele e definitivo contrappasso.
A dispetto della suggestione di una complessa struttura meta-cinematografica (lo spettatore viene proditoriamente fuorviato nel giudizio da attribure a personaggi, motivazioni ed accadimenti) e della frammentata dialettica della confessione (Kurosawa docet), il teatrino messo in scena da Nakashima rischia di apparire come un divertissement superficiale e pretestuoso in cui perfino le legittime aspettative di una vendetta sanguinaria si riducono nei mille rivoli di un incomprensibile stillicidio. Perfettamente nelle corde di un autore che ha studiato bene la lezione di una tradizione cinematografica da sempre innovativa nelle forme e spiazzante nei contenuti (complessità narrativa, predilezione per una contorta simbologia, gratuite morbosità psicologiche) il film rivela un talento debordante ma anche una certa avventatezza  autoriale, finendo per produrre risultati dagli esiti controversi che, se accontentano una buona fetta del pubblico, ne scontentano una uguale e contraria. Black Dragon Audience Award 2011 al Far East Film Festival di Udine, perchè si sa, a noi italiani piace da matti il cinema giapponese!

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