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Captifs

Regia di Yann Gozlan vedi scheda film

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La recensione su Captifs

di alan smithee
8 stelle

Dalle tragedie e drammi della guerra fratricida nei Balcani, all'orrore di finire letteralmente in pasto a trafficanti clandestini di organi, il passo si rivela molto corto: ne sanno qualcosa tre operatori umanitari francesi, rapiti al termine della loro missione e imprigionati nella tana del lupo sanguinario.

Bella sorpresa nel mondo dell’horror con un piccolo film francese del 2010, opera prima di quel Yann Gozlan divenuto piuttosto celebre quest’anno con Un homme ideal, giallo intrigante e molto soft con il lanciatissimo e fascinoso Pierre Niney.

Tutt’altro che soft invece risulta questo Captifs, che ci catapulta, un po’ come nel recente A Perfect Day, ma con toni decisamente più efferati (e se vogliamo, o almeno speriamo, surreali) nel mondo balcanico della guerra civile degli anni ’90.

Qui incontriamo Carole, che fa parte di una piccola missione umanitaria che sta concludendo la sua permanenza in loco (le circostanze di partenza sono davvero molto simili a A Perfect day), e della quale ci viene presentato pure uno spiacevole e drammatico avvenimento che la sconvolse in età bambina.

Nel momento in cui la ragazza sta lasciando con una jeep e due compagni la base operativa, ecco che il convoglio viene assalito da un gruppo di banditi mascherati che li immobilizzano, ne feriscono uno di loro, e li trasportano in un posto desolato, simile ad una discarica abusiva, ove vengono imprigionati all’interno di uno scantinato squallido ma equipaggiato come una sinistra clinica abusiva.

Non ci vuol mondo a far loro capire che sono finiti, al pari di altri disgraziati, tra cui pure una bambina, nelle mani di spietati trafficanti di organi, e che la loro fine è vicina: uno ad uno infatti i presenti vengono prelevati a forza e sottoposti a mutilazioni fatali (occhi, reni e cuore) che consentono ai malfattori di lucrare sulla vendita delle parti asportate.

84 minuti serratissimi e condotti con un sapiente dosaggio di suspence e ritmo che riescono a distoglierci dal fatto di trovarci di fronte ad una storia che è tutto fuor che nuova ed originale, con citazioni dei vari Hostel ed uno stile compulsivo di regia che ricorda quello di Fabrice Du Welz (Calvaire, Alleluja,Vinyan), ma più concentrato sull’insieme dell’azione, che sui corpi dei singoli protagonisti.

Ed una protagonista, Zoé Félix, davvero bella ed espressiva: un volto che ci ricorda una riuscita fusione tra l’attrice statunitense Kate Beckinsale e la cantante Paola Turci; il suo atteggiamento di ribellione ad una situazione apparentemente senza uscita in cui la donna sfodera l’energia alimentata dalla disperazione, che la rende anche madre adottiva furente ed aggressiva a chi osa mettere in pericolo la vita della bambina come lei condannata al macello: una situazione che la accomuna alla Ripley del secondo, meraviglioso Alien(s).

Tra gli altri attori coinvolti, riconosciamo l’ormai italiano per adozione Ivan Franek, qui in uno dei suoi ruoli più laidi e sanguinari in assoluto.

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