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Sono il Numero Quattro

Regia di D.J. Caruso vedi scheda film

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La recensione su Sono il Numero Quattro

di Immorale
3 stelle

4+6

Il film di Caruso - ovviamente tratto da un libro di successo - si può sicuramente inserire nell’onda lunga del (post) “young adult” revival, imperante nel 2011 sulla scia del successo di “Twilight” & Co. Genere dagli elementi fissi, incontrovertibili e dallo sviluppo ingabbiato in inscalfibili cliché che, da sempre, la filmografia a stelle e strisce ammansisce alle platee mondiali. Non fa difetto di tali elementi anche il lavoro del regista americano (all’epoca già autore di 6 film da onesto mestierante di thriller dai buoni casting), con in più ampie spruzzate di college movie dalle ancora più delineate (e stancanti) tracce narrative. 

 

 

Pertanto nella prima parte della pellicola si rischia quasi il plagio – rispetto al già derivativo “Twilight” – con la scoperta della provenienza aliena del protagonista (lo scialbo attore britannico Alex Pettyfer) e le consuete argomentazioni apocalittiche sulla distruzione del pianeta natale e la natura salvifica assegnata alla sua sopravvivenza – lui, il 4° di 10 esseri scampati alla mattanza dei cattiv(on)i alieni Mogadorian (alieni punk). Si prosegue poi con l’assimilazione e gestione dei poteri – ovviamente sovrumani  - del nostro eroe, fino alla presa di coscienza della minaccia incombente (i truci Mogadorian – brutali ma dall’indole svizzera – perseguono l’eliminazione della decina di “profughi” in rigoroso ordine cronologico - sic !).

 

 

Lo sviluppo dell’asfittica introduzione si estrinseca poi esattamente come ci si immaginerebbe – in una manifesta idea sceneggiativa di cullare senza strappi la sospensione dell’incredulità dello spettatore – fino alla parte finale  che, vanificando una comunque schietta scorrevolezza della vicenda, sprofonda la pellicola in una versione quasi revival dello scult anni 90 per eccellenza ovvero “Buffy l’ammazzavampiri”; tale cambio di marcia si  ha con l’ingresso in campo del numero 6, una aggressiva bionda che richiama le fattezze della mitica Buffy/Sarah Michelle Gellar ma, non essendo più negli anni 90, ancora più trash (se possibile).   

 

 

Fino al pirotecnico pre-finale dove si sfiora l’overdose per l’eccesso di esemplari da bestiario fantasy presenti e l’opacizzazione del cristallino da eccedenza di laser multicolori. Seguito dal finale aperto per un seguito che, a tutt’oggi, non sembra in programma; per quegli imperscrutabili motivi per cui le vicende di un manipolo di vampir(ett)i glitterosi (con “gatta morta” acclusa) ottiene un successo immenso ed invece le avventure di un ibrido alieno dalle stigmate luminose (con fidanzata biondina stile “girl-next-door” - almeno – amante della fotografia) non vengano ritenute degne di un seguito (questo nonostante gli incassi non disprezzabili di circa 150 mln di dollari) – pur essendo qualitativamente non dissimili.

 

Per fortuna o purtroppo.     

 

 

 

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