La recensione su Rabbit Hole

VOTO : 6/7.
Prima di vederlo mi veniva particolarmente complicato accostare il nome di John Cameron Mitchell ad una storia destinata a suscitare forti emozioni fin dalla primissima scena.

Ed invece questo azzardato connubio funziona bene e genera un film sincero e doloroso che ha la sua completa ragion d’essere pur se collocato in un filone cinematografico che conosce più esemplari in ogni stagione (del cinema e del cuore).

Rebecca (Nicole Kidman) e Howie (Aaron Eckhart) hanno perso il loro figlioletto di quattro anni da soli otto mesi e la loro vita è sconvolta sotto tutti i punti di vista.

Frequentano un gruppo di sostegno, faticano ad andare avanti, ma mentre Howie ha comunque uno spirito che lo sprona a cercare nuove vie e pensare comunque anche in avanti (senza dimenticarsi mai di voltarsi all’indietro), Rebecca pare completamente bloccata, trovando nell’incontro con Jason (Miles Teller), il ragazzo che ha investito ed ucciso fortuitamente suo figlio, uno sfogo alle sue esigenze interiori.

La dolorosa elaborazione del lutto è il tema posto al centro di questa pellicola ad alto contenuto drammatico, che per certi versi ripropone tematiche (lo sconvolgimento della vita di coppia, dei rapporti con gli altri e con se stessi) e vezzi (lacrime, silenzi e pensieri) già visti più volte, ma allo stesso tempo li condisce con personalità ed alcuni acuti davvero irruenti ed imperiosi.

Per questo penso, per esempio, al pensiero di Rebecca su Dio, ad alcuni sfoghi della donna (durante le riunioni del gruppo di sostegno, con la madre e la sorella, al bowling) che la Kidman, finalmente tornata a recitare in maniera intensa e sentita, rende credibili (e toccanti) coadiuvata da Aaron Eckhart che nei panni del marito le fa da contraltare, ma anche da spalla.

Ma tutto il film è tessuto con rigore e schiettezza, senso della misura (e discretamente anche dell’eleganza nelle riprese degli spazi), e del rispetto verso modi diversi di concepire la vita (e la morte) con un finale che non presenta la vittoria di coppia sul dolore, ma che bensì si limita a fornirci l’idea che comunque una possibilità ci sia sempre, almeno fin quando c’è un domani.

Così, pur nel suo piccolo, questo “Rabbit hole” riesce ad essere anche sorprendente, raccontando una storia non nuova in maniera propositiva senza cercare soluzioni accomodanti e mantenendo sempre la rotta, anche durante i moti di tempesta che ripetutamente spazzano le anime dei protagonisti.

Doloroso.

Su John Cameron Mitchell

VOTO : 6/7.
Cerca nuovi scenari e li coltiva con coraggio, mostrandoli con talento visivo non comune.

Su Nicole Kidman

VOTO : 7.
Davvero incisiva come non le capitava da una vita ("The others"?), dimostra di essere ancora una grande attrice quando vuole andare oltre alla pura immagine (questa sì un pò sgualcita dal tempo e dalle operazioni di chirurgia).

Su Aaron Eckhart

VOTO : 6/7.
Sorprendente.
Ruolo in sottrazione, apparentemente è la spalla, ma poi si guadagna il suo (sacrosanto) spazio.
Ben guidato, ma il suo contributo alla causa è ben visibile.

Su Dianne Wiest

VOTO : 6++.
Ruolo secondario, ma espletato con maestria.
L'esperienza ha sempre un suo peso.

Su Sandra Oh

VOTO : 6++.
Intraprendente, ha poco spazio, ma lo sfrutta bene (poi lei mi ispira sempre simpatia, figuriamoci se poi si fa le canne come una giovincella!).

Su Tammy Blanchard

VOTO : 6+.
Naturale, un pò gretta, ed alla mano come richiesto.

Su Jon Tenney

VOTO : 6.
Particina nella quale risulta diligente.

Su Giancarlo Esposito

VOTO : 6.
Sufficiente (comunque, nel suo piccolo, ha buon piglio).