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Akvarel

Regia di Otar Ioseliani vedi scheda film

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FABIO1971

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La recensione su Akvarel

di FABIO1971
6 stelle

L'esordio del georgiano Otar Iosseliani, tratto da un racconto di Alexander Grin e realizzato durante il suo terzo anno di corso alla VGIK, la Scuola statale di cinema di Mosca, che terminerà nel 1961 con un diploma in regia e due cortometraggi all'attivo. In Akvarel ("Acquerello") illustra con sguardo divertito e rigorosa raffinatezza formale un ben poco idilliaco, viste le misere condizioni, quadretto di vita familiare: un marito ubriacone, al risveglio da una sbornia, ruba alla moglie i pochi soldi che riesce a trovare dentro casa e scappa. La donna lo insegue per le strade e fin dentro una bizzarra galleria d'arte, popolata da curiosi personaggi che ammirano una mostra di sculture: marito e moglie, poi, si accodano ad una guida sui generis che sta illustrando le opere di un pittore ad alcuni visitatori (commentandoli laconicamente con un perentorio e delirante "Tutti rimangono turbati da questo quadro: guardate la macchia gialla sul mignolo sinistro"), finchè, improvvisamente, si ritrovano di fronte ad un quadro in cui è ritratta proprio la loro abitazione, così descritta dalla guida ai due coniugi esterrefatti e agli altri visitatori: "Sentite come il colore scorre dalla tela fino a voi. Qui abitano persone generose, gentili e oneste che lavorano e vivono in armonia nel senso più vero della parola", concludendo poi il proprio commento con un laconico "Ecco che cosa voleva comunicare il pittore con la sua tecnica: forse questa casa non esiste neanche". Dopodichè la guida e i visitatori proseguono il loro tour in un'altra sala, subito rimpiazzati da una nuova guida, che ripete ad altri visitatori, di fronte allo stesso quadro, identici commenti, disorientando ancor di più i due coniugi, visibilmente scossi ("Qui teniamo il secchio per l'immondizia, ma non si vede", commentano...) ma subito in grado di mettere a frutto, nel finale, l'esperienza appena condivisa. La mano di Iosseliani è ancora acerba, imprigionata nell'evidente amatorialità del progetto (la macchina da presa è spesso traballante, qualche campo/controcampo soffre di eccessive "licenze poetiche"), ma denota ugualmente (ovviamente in nuce) la grazia nell'ispirazione e l'indubbio fascino visivo del cinema del suo autore, tra movenze buffonesche, amplificate dalle smorfie e dalla recitazione sopra le righe degli attori (straordinaria per vitalità e forza espressiva, nel ruolo della moglie, Sofiko Chiaureli), improvvisi scarti drammaturgici nella narrazione e le squisitezze formali nella composizione delle inquadrature, suggestivamente ammantate dai chiaroscuri della splendida fotografia.

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