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Mine vaganti

Regia di Ferzan Özpetek vedi scheda film

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La recensione su Mine vaganti

di OGM
6 stelle

Ferzan Ozpetek non ci sa proprio fare. Forse ambisce ad essere l'omologo italiano di Almodóvar, ma il suo tentativo di emulazione – opportunamente sciacquato nei tiepidi lavacri di casa nostra – si risolve in un imbarazzante motteggio pseudosatirico composto di comicità spicciola, caricature scontate e stupidaggini pure e semplici. Con la sua regia, il film, pur sostenuto da un validissimo soggetto, è costretto a lottare strenuamente contro le sabbie mobili della banalità, a cui solo a tratti riesce a strappare, con le unghie e con i denti, qualche momento di fine letterarietà. (Gli amori impossibili non finiscono mai. Sono quelli che durano per sempre. [...] Non bisogna aver paura di lasciare, perché tutto quello che conta non ci lascia mai. Anche quando non vogliamo. [...] Non siate tristi per me, quando non sentite la mia voce in casa. La vita non è mai nelle nostre stanze. Moriamo, e poi torniamo. Come tutto.)
Tutto il resto è un amalgama informe a base di un colore locale che non fa presa (del tutto sprecata l'ambientazione salentina), punte di intimismo da telenovela (l'antico pastificio di famiglia fa saga, ma non poesia) e icone intristite dalla fallita autoironia (lo stereotipo del gay dalle pose effeminate non fa riflettere, né tanto meno ridere): un tessuto sfilacciato e disomogeneo, che impone allo spettatore una sfiancante e inutile gimcana tra i continui cambi di registro (dalla commedia all'italiana al fotoromanzo) e spesso aggredisce il suo senso estetico con la ruvidità della carta vetrata.  Il funerale dell'ultima scena ci offre inopinatamente l'occasione di ripensare ai tanti buoni propositi che la sceneggiatura - troppo distratta dalla ricerca dell'effetto straniante e (vanamente) provocatorio – si  è dimenticata di mettere in atto, come la caratterizzazione morale della figura della nonna, o l'analisi del senso della famiglia in una società patriarcale, o, non ultima, una chiarificazione convincente della metafora delle mine vaganti, protagoniste del titolo, ma, paradossalmente, del tutto emarginate nello sviluppo della storia. Di questo bizzarro cimento cinematografico rimarranno impressi un ottimo Scamarcio (di cui il regista ogni tanto si ricorda) e un povero Fantastichini (crudelmente torchiato da esigenze interpretative a dir poco contraddittorie).

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