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Lebanon

Regia di Samuel Maoz vedi scheda film

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La recensione su Lebanon

di mc 5
10 stelle

La verità è che avevo quasi deciso di non andare a vedere questo film. A parte il fatto che tradizione vuole che i film che vincono il primo premio ai festival, fatto salvo il loro alto livello qualitativo, risultano quasi sempre ostici, supponenti e spesso appartenenti a cinematografie esotiche con cui ho scarsa famigliarità...anche se poi bisognerebbe distinguere: per esempio apprezzo molto le produzioni dei paesi dell'Est, mentre proprio stento ad entrare in qualche sintonìa con quasi tutta la cinematografia orientale, soprattutto quella coreana. A parte questo pregiudizio (che poi pregiudizio non è, ma lasciamo perdere per ora...) avevo letto che caratteristica principale della pellicola è quella di avere come unico ambiente l'interno di un carro armato per tutta la durata del film. Ora: non è che io detesti a priori i film legati ad un solo ambiente e con pochissimi personaggi, nient'affatto: anche perchè poi questo genere di film spesso possiede un impianto teatrale e si basa su bravissimi attori e su dialoghi incalzanti e brillantissimi. Ma stavolta tutto appariva diverso, almeno sulla carta. E quell'ambientazione così angusta e per giunta collocata in un contesto bellico, proprio non mi convinceva. Oltretutto poi, in questo week-end è uscita una montagna di nuovi film, per cui le alternative valide non mancavano certamente. All'ultimo minuto, mi è capitato di passare in rassegna tre quotidiani ed altrettanti siti di cinema, riscontrando che tutti quanti si profondevano in elogi caldissimi verso "Lebanon"...e a quel punto le residue barriere sono cadute, e mi son detto "proviamo". Morale della favola: ho visto uno fra i più sconvolgenti film mai visti in vita mia. Due gli aggettivi che mi sento di utilizzare, così su due piedi, a poche ore dalla visione: "allucinante" e "necessario". Il film è effettivamente claustrofobico ma riesce a trasformare questo "problema" in una impressionante fonte di coinvolgimento. Di film "contro la guerra" se ne sono realizzati a centinaia, ma questo è davvero molto particolare. Per una volta, sono totalmente d'accordo su un concetto condiviso da quasi tutti i critici: nel senso che ciò che caratterizza il film è che il regista, pur israeliano, non parteggia nel modo più assoluto, scegliendo un'altra prospettiva. Samuel Maoz prende lo spettatore e lo sistema (idealmente) in un angolino dentro l'abitacolo di un tank, da cui egli possa osservare quanto gli succede intorno, cioè vedere i movimenti e le reazioni di quattro giovani soldati ventenni israeliani, a cui si aggiungerà un prigioniero siriano. E la cosa sbalorditiva, di cui sono testimone, è che davvero sembra di essere là dentro assieme a quei quattro poveri disgraziati condividendo con essi le sensazioni più sgradevoli e repellenti, il fetore, il sudore, l'odore di piscio, che tuttavia sono nulla a confronto coi nervi a pezzi e una situazione emotiva talmente drammatica da essere insostenibile, senza poi contare le visite a sorpresa di un ufficiale così antipatico che verrebbe voglia di sputargli in faccia, anche se poi, alla fine, risulterà anche lui vittima di un sistema apparentemente inarrestabile. A un certo punto, uno dei quattro dice: "Cristiani...musulmani...che cazzo ce ne frega, l'importante è andare via da qua". Ecco il punto: la consapevolezza di essere carne da macello per una guerra che non si capisce e da cui non si è coinvolti...questo è il dramma. Il dramma non solo di questa, ma di TUTTE le guerre. Un film che non fa sconti, durissimo, implacabile. Quando non esiste più la famiglia nè i problemi personali, perchè la Ragione Superiore del Combattere e Vincere annulla letteralmente tutto il resto della propria vita. Esiste l'azione di guerra e basta: non esiste, in quel momento, nient'altro. L'uomo diventa una macchina per uccidere e i suoi pensieri devono essere improntati solo all'obbedienza degli ordini dei superiori. Come accennavo prima, il film non perde tempo a renderti conto delle ragioni degli uni e degli altri in guerra affinchè poi tu ti faccia un'opinione. No, il film ti cala (con enorme senso della verità) al centro di una guerra durissima mostrandoti come, in tale ambito, tutto concorra a rendere l'uomo una bestia, al di là degli schieramenti e delle ideologie... e a quel punto succede (almeno a me è successo) che lo spettatore di fronte a una simile insostenibile esperienza, provi un senso di disgusto misto a rabbia feroce e sia indotto ad emettere idealmente un grido (muto) di dolore contro la guerra intesa come prospettiva per affrontare e risolvere problemi (storici, religiosi, politici, sociali...). Si assiste, durante la visione, a sequenze strazianti, tipo un un civile orrendamente mutilato che trova la forza di gridare "Pace! Pace!" ma che poi viene sbrigativamente freddato. O una madre seminuda e sperduta che esce dalla sua casa (devastata dopo un'azione di guerra) e vaga, ormai letteralmente impazzita dal dolore, alla ricerca della sua bambina (quest'ultima scena è davvero difficile da reggere, e non nascondo che mi sono emozionato e ho pianto). Raramente al cinema si era realizzato un tale processo di identificazione tra pubblico e protagonisti, entrambi unificati dalla medesima visuale, entrambi abilitati ad osservare ciò che avviene esternamente solo (e soltanto) attraverso il telescopio del cannone del carro armato. La percezione di ciò è impressionante. Tutte quelle "zoomate", avanti e indietro, a destra e a sinistra, ci provocano sussulti, ci allarmano. E anche noi, esattamente come i ragazzi del tank, sentiamo provenire dall'esterno rumori, spari, voci, grida....come se vivessimo, isolati, in un incubo. Ma a questo punto bisogna dire una cosa importante. Molte sono le affinità che collegano "Lebanon" al magnifico "Valzer con Bashir". Esattamente come era accaduto ad Ari Folman, anche Samuel Maoz (ovviamente sceneggiatore oltre che regista) ha vissuto personalmente ciò che viene narrato. Anche lui fu carrista ed uccise "il nemico" durante azioni di guerra. Anche lui ha avvertito questa insopprimibile e tormentata necessità di liberarsi di un peso, di fare i conti col passato, utilizzando come terapia l'arte del Cinema. Io trovo che la scelta di questi due cineasti sia commovente ed esaltante, perchè rende ancor più evidente una lampante verità: quando uno ha combattuto duramente, uccidendo anche delle persone, gli viene naturale, dopo decenni, (magari attraverso un processo di maturità intellettuale forse non alla portata di tutti), superare il tifo per l'uno o l'altro schieramento, e condannare l'orrore della guerra a prescindere. Ecco, sarebbe bello se, chiunque avesse visto questo film, non trovasse più giustificazioni a rivendicazioni belliche o a rappresaglie ma condannasse in toto la guerra.  
PS1: Ma io, intanto, la scena di quella madre che si aggira seminuda e inebetita tra le macerie in cerca della sua piccola, non riesco proprio a dimenticarla...
PS2: Quella frase che si legge all'interno del carro armato ("L'uomo è d'acciaio, il carroarmato è solo ferraglia") mi ha ricordato tanto certe retoriche e balorde scritte fasciste che ancora sono visibili sulle mura esterne di vecchi edifici.
Voto: 10

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