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Il padre dei miei figli

Regia di Mia Hansen-Løve vedi scheda film

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La recensione su Il padre dei miei figli

di giancarlo visitilli
6 stelle

L’opera seconda di Mia Hansen-Løve, già attrice e compagna per Olivier Assayas, Prix Delluc a 26 anni per l’esordio Tout est pardonné e qui Premio Speciale della Giuria di Un Certain Regard a Cannes 2009, conferma la bravura di una regista che, così giovane, è promettente. 

La storia è quella di Grégoire Canvel, un giovane produttore, la cui vita e carriera sembra giocargli a favore, avendo un lavoro sicuro e una famiglia, con tre figlie a carico, Clémence, Valentine e Billie. Canvel é molto rispettato dai colleghi del suo ambiente e  questo, è garanzia di sicurezza e autostima, fino a quando, però, non deve fare i conti con la parte tragica della realtà, a causa di sbagli finanziari ed eccessiva fiducia, in modo particolare in alcune persone che lo condurranno ad un vero e proprio fallimento, morale ed economico. Nonostante la vicinanza della moglie, Grégoire è stretto dalla morsa di obblighi morali, oltre che dai tanti debiti, accumulatisi a causa di progetti sbagliati. Che fare? O accettare la confitta e ricominciare tutto da capo, oppure, per evitamento, rischiare tutto, affidandosi al suicidio.  A prescindere dalle scelte di Grègoire, non affatto condivise da moglie e figlie, i guai di Grègoire alla fine saranno ereditati dalla moglie Sylvia, che deve cercare di porre rimedio.

Si tratta di una storia di tutti i giorni. Dei nostri giorni. In realtà, la regista ha vissuto in prima persona, il suicidio del suo amico, Humbet Balsan, carismatico e coraggioso produttore, che può vantare di aver prodotto film come Adieu Bonaparte (1985) di Youssef Chahine e Le grande voyage (2004) di Ismaël Ferroukhi, divenendo uno dei primi nomi tutelari del cinema arabo. Balsan si è suicidato a cinquantenni, a causa di una personale grave crisi finanziaria. Il film, però, oltre che narrare la crisi di un uomo e della sua famiglia, racconta dal di dentro, della macchina e delle persone addette a quella macchina, quella del cinema. Mia Hansen-Løve guida gli attori in straordinario modo, ottenendo un risultato soprattutto in termini di spontaneità. Le location della Parigi sono un connubio felice con tutta una serie di inquadrature che riprendono gli elementi chiave del film, sebbene sotto forma di simbologie, dalla scala oltre il muro, al black-out a tavola; riesce ad amalgamare bene gli ‘ingredienti’, ottenendo un condensato di ricordi, sofferenze e rimorsi. Alla fine, ne esce un film sul mondo del cinema indipendente, ma soprattutto l’amore per un mestiere ch’è fatto di innamoramento per la sceneggiatura, del coraggio di realizzarlo e della presa coraggiosa di determinate scelte, a cui anche il cinema, molte volte, costringe.

Giancarlo Visitilli

 

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