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Antichrist

Regia di Lars von Trier vedi scheda film

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Badu D Shinya Lynch

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La recensione su Antichrist

di Badu D Shinya Lynch
10 stelle

 

Sincerità ingestibile

 

"Gli artisti devono soffrire, il risultato è migliore!"

- Lars von Trier -

 

Antichrist mi spacca gli occhi in gloria abissale: si sgretola Straub in veli d'argentoesangue...

avanza l'immagine e scende fino alla gola del Cinema 

 

Antichrist è un'opera urgente e disarmante. Nel film di Lars von Trier, la donna è rappresentata come una figura divina e satanica, portatrice primordiale del dolore a cui è destinato l'uomo: lei è l'emblema lacerante e lacerato della Creazione, nonché dell'atto sessuale inteso, dal regista, come male archetipale - di fatti, durante l'amplesso iniziale, il loro figlio muore: questo avvenimento simboleggia il fatto che dall'impura fusione carnale ne deriva un risultato anomalo, una creatura sbagliata che rappresenta (e contiene) tutto il dolore che caratterizza l'esistenza umana: un'immagine ricorrente che si palesa anche attreverso il mondo animale - il cervo che partorisce un aborto, un cucciolo morto - e vegetale - le ghiande che cadono prive di vita dall'abete, "perite" ancor prima di toccare il suolo -; l'infante, quindi, si stacca dal ventre materno per lasciarsi morire: sospira la libertà a cui è destinato; un errore antropologico la cui sorte è esclusivamente quella di soccombere per via dell'inquinato gesto da cui è venuto al mondo, deformato e deformante come l'azione corrotta che lo ha generato: il sesso [incipit]. Questo Male, secondo il filmmaker danese, è prettamente femminile, riservato all'elemento femmineo.  Dall'impudicizia universale, appunto, nascono il dolore, la disperazione e l'ansia - pain, grief, despair: i tre mendicanti. Questi sembrano essere una sorta di guida che porta verso una nuova dimensione vitale, alla volta di un'(in)attesa liberazione esistenziale. Figli, discepoli, messaggeri della Natura dalla quale ne deriva l'origine del Male, in cui ricercare la cura per il medesimo "morbo sacro"; una Natura nella quale spiccano (solo) due figure primigenie; un Eden oscuro in cui sono presenti due esseri viventi, ovvero le proiezioni sverginate di Adamo ed Eva: l'Uomo [la Razionalità, la Conoscenza] e la Donna [la Vita, la Creazione] - due facce della stessa medaglia che non possono (e non devono) coesistere perché il dualismo è intollerabile, sbagliato, malefico, di conseguenza si deve tornare ad essere "Uno", e per fare ciò una delle due parti deve prevalere. L'Uomo - la conoscenza -  vuole avere la meglio rispetto alla Donna, prova a guarirla, cerca la radice del suo disagio. Quest'ultima si lascia curare. Lei, una volta accortasi del proprio Male e resa consapevole del fatto che porta con se la fonte della sofferenza, l'utero infettivo e seducente, torna alla sua origine di martire:  La donna, dopo guarita, merito della terapia del marito, compie l'amputazione del proprio organo sessuale, cercando di evirare anche quello del suo compagno. Le azioni della protagonista si potrebbero definire esasperatamente religiose: l'infibulazione è palesemente un gesto cristiano, nel senso più castrante del termine. La figura femminile quindi deve eliminare il piacere stesso che porta alla fusione dei corpi, al sesso, all'atto impuro, nonché alla creazione. Sopprimere questo virus primitivo. L'amputazione dell'organo riproduttivo, in un certo qual modo, è spinta dall'Uomo-Maschio. Quindi, secondo il regista, è la donna l'emblema stesso di questo disegno di creazione impura, simbolo del Male. La Natura, se lo spettatore ci fa caso, sembra comunicare solo con il marito; lei invece, attraverso il gesto estremo di repressione sessuale di cui si è parlato poc'anzi, sceglie di andare contro-Natura. La moglie, ormai completamente impazzita, viene fatta fuori dal marito. Non c'è più dualità. Si torna all'Uno; il lato femmineo è liberato e si fonde con il protagonista dando vita ad un'unicità che va al di là del bene e del male: egli diventa la guida di questa folla donnesca, raffigurante il lato sessualmente represso di questo mondo [excipit]; la massa femminile - che non esiste più come persona singola, ma piuttosto come un collettivo movimento (finalmente) emancipato - ora può rivedere la luce e ritornare in superfice, grazie all'intervento del personaggio maschile che, definitivamente, spezza questo primordiale sigillo cristiano/religioso: egli dunque, a conti fatti, potrebbe essere l'Anticristo.

 

Antichrist è una pellicola eccessiva e violenta. Un'opera sincera in tutto il suo dolore e malessere; è l'urlo disperato e distorto di Lars Von Trier nei confronti della vita e della malattia. Questo insostenibile film è il Parkinson del cinema: è un handicap cinematografico che non riesce a stare fermo, è incontrollabile, ingestibile e fastidioso - una sorta di incontinenza registica che trabocca di incubi reali. Antichrist è il Male: quello dell'umanità, quello della donna; è un ventre catastrofico e apocalittico nella quale tutti gli esseri umani si immergono e soffocano, sbraitanti come Dei, privati della propria immortalità; è la defibulazione della settima arte, la rinascita del nulla traboccante di errori metafisici, naturali e antropologici. Chi è l'Anticristo? Forse colui che libera dall'oppressione sessuale il mondo intero?  Quindi dove sta il bene e dove sta il male? Il regista racconta con disperazione incongrua questo confine, umanizzando (im)perfettamente questo disagio divino. Dio e Satana sono sopravvalutati, rimangono avvolti nella nebbia - la vera malvagità è dell'essere umano: una creatura sbagliata e indisciplinata, eccessivamente carnale.

Un'opera debordante, affascinante e, soprattutto, terpautica: traspare tutta la malattia, la depressione del regista; lo spettatore, a sua volta, vede (e sente) riflesse le proprie paure primigenie, il proprio male(ssere) esistenziale, ed è proprio dal caos - fisico e spirituale - che il pubblico deve ricavarne un'ambigua cura. La visione di Antichrist è quindi necessaria: si ha l'esigenza, il bisogno di abbracciare, per far sì che avvenga nello spettatore un processo esorcizzante, questa sofferenza atavica, relativa alla carne e allo spirito.

Un lungometraggio straordinario, una grande architettura visionaria, una misticheggiante allegoria sulla figura dell'Anticristo. Artisticamente scioccante e disturbante. Un pugno, sferrato con tristezza e malessere, nello stomaco, nella faccia, nella mente e nelle parti basse. Visivamente destabilizzante e psicologicamente devastante.

La pellicola è fruibile sotto vari aspetti simbolici, come quelli onirici, filosofici e psicanalitici. Un film che risulta perfettamente incompleto, in cui, probabilmente, l'angoscia e la depressione dello spettatore completeranno questo oscuro puzzle.

Lars Von Trier palesa e scaraventa addosso all'inerme spettatore le ansie arcaiche che quest'ultimo custodisce inconsciamente dentro di se. Un'opera clamorosa e indisponente, dedicata alla memoria di Andrej Tarkovskij [ennesima provocazione?].

Non si è mai troppo pronti per Antichrist, ma si è sempre magnificamente impreparati.

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