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Ricky - Una storia d'amore e libertà

Regia di François Ozon vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Ricky - Una storia d'amore e libertà

di ed wood
8 stelle

Film unico, stranissimo. Non tanto per l'innesto del fantastico nel tessuto di un dramma o commedia a sfondo sociale (da "Miracolo a Milano" a "Looking for Eric", ce ne sono state diverse di trovate simili), quanto per il modo, così crudo, radicale e materico, in cui tale operazione viene compiuta. Ai miei occhi, è parso più disturbante di qualsiasi horror che abbia mai visto: siamo quasi alle soglie del cattivo gusto. La metamorfosi del piccolo Ricky, da bebè ad "angelo", ricorda da vicino quella di Seth Brundle nella "Mosca" di Cronenberg: un bozzo sulla schiena, poi due protuberanze che spuntano fuori fino a diventare vere e proprie ali in carne e piuma. Oramai l'utilizzo degli effetti speciali sta diventando diffuso anche nel cinema d'autore, favorito dalle possibilità del digitale: ricordiamo, a parte l'universo-Gondry, l'auto-decapitazione in "Post Tenebras Lux" di Reygadas, la monca Marion Cotillard in "Un sapore di ruggine e ossa" di Audiard e altri ancora. Lungi dall'essere un mero dispiego di alta tecnologia dell'immagine, l'uso di tali effetti nel cinema "impegnato" riveste un fondamentale ruolo simbolico ed espressivo. Tanto che ci chiede: perchè l'angelo-Ricky, anzichè essere rappresentato come una figura eterea e metafisica, assume connotati così crudamente e fanta-biologicamente cronenberghiani? La mia idea è la seguente. Il film racconta la vita difficile di una giovane madre, operaia, alle prese con una precaria vita sentimentale e con prole a carico; la donna non si piange addosso, ma affronta la vita a testa alta, non senza una certa dose di ingenuità. L'approfondimento psicologico è pressochè nullo, le connotazioni sociologiche latitanti (o al limite funzionali al racconto, come ad esempio l'invadenza dei mass media); la narrazione è ellittica, le sequenze sono brevi e risolte con brillantezza, bilanciate fra la quotidiana frustrazione della working class e uno humour che fa capolino anche nei momenti più difficili; la reazione di madre e figlia alla visione del bebè volante è semplicemente surreale, come in un sogno o in una favola. Ecco, io ritengo che Ozon abbia genialmente saputo evitare le trappole della fantasia più edulcorata e ricattatoria, che avrebbe portato la dura materia sociale verso innocue e mistificatorie derive pseudo-utopistiche, e lo abbia fatto proprio definendo questo angelo della speranza (e della fuga) non come una figurina di puro spirito, ma come un corpicino bestiale, concreto, fatto tutto di carne. In questo modo, si ribalta il dramma burocratico evocato nella primissima inquadratura: non è grazie alla favola e alle sue inconsistenti immagini che si scappa da una realtà mostruosa, ma il contrario. Ossia: la realtà di tutti i giorni è come un sogno/incubo ad occhi aperti, regolato dall'assurdo come la più strana delle favole, fondato su una normalità/serenità che in realtà maschera profonde aberrazioni. E quella che dovrebbe essere la più grande delle gioie, l'arrivo di un nuovo figlio, "angelo del focolare", si rivela invece qualcosa di esteticamente orrido: una "covata malefica" con cui la madre materializza il disgusto nei confronti della propria vita, un malessere che aveva represso dietro al miraggio di un nuovo amore, alle piccole convenzioni della quotidianità e all'incrollabile attaccamento alla vita. L'anomalia ornitologica di Ricky oggettivizza quindi l'orrore di un'esistenza falsamente quieta: la purezza infantile di Ricky risiede tutta in questa sua incarnazione delle storture della morale (familiare, affettiva, lavorativa, sociale) e dell'estetica (il "finto" cinema di "impegno civile"). E la sua fuga, propiziata sbadatamente dalla madre e istintivamente ("Vola via, Ricky! Vola via!", momento da brividi in un film per il resto straniate, talora spassoso) dalla figlia, è quindi l'anelito di Ozon alla fuga da un cinemino dei buoni sentimenti e delle magre consolazioni, delle luci solari sparate a mille su volti estasiati, degli abbracci retorici, della mistificazione dei problemi reali: il Paradiso della coscienza è per i registi coraggiosi e per i loro angioletti in carne ed ossa.

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