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Revanche. Ti ucciderò

Regia di Götz Spielmann vedi scheda film

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La recensione su Revanche. Ti ucciderò

di giancarlo visitilli
8 stelle

Un sasso nello stagno. I suoni del bosco. E la brezza, che soffia e allevia, di passaggio, i ricordi. Basterebbero queste semplici immagini, per rendere l’idea di cos’è questo bellissimo film di Götz Spielmann. Si tratta di una storia dai sentimenti e dalle azioni estreme, che sconvolgono la consuetudine e lasciano i segni. Il vuoto, soprattutto.

Alex è il tuttofare del tenutario di un bordello viennese e ha una relazione segreta con una prostituta ucraina, Tamara. Fuori dalla città, in una campagna, quasi sospesa nel tempo e nello spazio, vivono il nonno e una coppia che vorrebbe un figlio: il poliziotto Robert e la moglie Susanne. Intanto, Alex vuole liberare Tamara, così progetta una rapina, che lo porterà, di conseguenza, a vivere nascosto, in campagna, a spaccare legna. Aspettando la redenzione.

Il film è scritto, prodotto e diretto da Götz Spielmann, un eclettico scrittore e regista per cinema, televisione, teatro e fondatore della propria società di produzione. Revanche, oltre alla candidatura all'Oscar, come Miglior film straniero, ha ottenuto numerosi premi in diversi festival internazionali, fra cui Berlino 2009, come Miglior film europeo di Panorama.

L’esistenzialismo è la forza di questo film, in cui il lieto fine è sinonimo di riscatto e redenzione. Tutto procede ed è illuminato dai contrasti, quelli visibili e materializzati nella città e nella campagna, nella luce e nel buio, nel pubblico e nel privato, ma anche quelli che sono più intimi, poco ravvisabili, quelli fra il cacciatore e la sua preda, la morte che anticipa una nascita.

La strizzatina di occhio ad Haneke è evidente, ma anche una certa assunzione di quell’iperrealismo, proprio di Hopper. Il resto è pura formalità, ma che convince, attrae e, soprattutto, emoziona, perché Spielmann è capace di narrare i sentimenti, con un’intelligenza narrativa molto rara, senza scadere nell’emotività. In questa riflessione, c’è spazio e tempo per il dolore, non avulso da una sua reale importanza. Infatti, il sasso che cade e propaga le onde, qui si fa metafora di un grido interiore, dolorosissimo, che ha un’eco lontana. Desideroso di vendetta, ma che, nello stesso tempo, riesce a inabissare i sensi di colpa. E non c’è spaccatura che regga, sebbene i tagli d’accetta siano nell’interiora di alberi che solo poco tempo prima, riparavano ciò che adesso appare molto evidente. La dimostrazione è il silenzio finale della campagna che chiude il film: un silenzio che ha rinunciato alla violenza e che si è fatto consapevolezza ed attesa di un amore, ormai inabissatosi nel tempo.

Giancarlo Visitilli

 

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