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Truands

Regia di Frédéric Schoendoerffer vedi scheda film

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La recensione su Truands

di degoffro
5 stelle

Polar nudo e crudo che racconta con isterica efferatezza, in stile tragedia shakespeariana secondo le intenzioni del suo autore, il sottobosco criminale parigino. Definito da più parti l’altra faccia di “36”, di cui ritorna, ma solo come interprete, il regista Olivier Marchal che poi firmerà, con il regista Frédéric Schoendoerffer, la prima stagione, la migliore, della serie tv “Braquo”. Ciò che colpisce e stordisce di “Truands” è il brutale realismo e l’implacabile durezza con cui immerge lo spettatore nel mondo marcio, psicopatico, perverso e deviato che descrive. Schoendoerffer non si tira mai indietro tanto nelle sequenze di violenza (un paio di torture piuttosto forti), quanto in quelle di sesso, furiose e animalesche. Il suo ritratto è glaciale, spietato, senza sconti. Purtroppo però non ha il senso della misura. La mancanza di una solida base narrativa, soprattutto se si opta per un approccio documentaristico, di per sé non è un difetto, anzi, basti pensare al capolavoro di Tavernier “Legge 627”. Mancano però asciuttezza ed essenzialità. In “Truands” c’è un accumulo esagerato e persino enfatico di situazioni limite, una ripetizione, alla lunga fastidiosa, di eccessi, un insieme di personaggi fin troppo sopra le righe, con involontario effetto caricatura e conseguente perdita di realismo. Schoendoerffer tende a strafare pur di rendere la storia il più incandescente possibile ma così svilisce il suo racconto che, con il passare dei minuti, si segue con sempre più fatica e un pizzico di noia. La messa in scena ha più di un inevitabile rimando al cinema di Michael Mann, c’è una sequenza di sparatoria a un parcheggio prodigiosa, Benoît Magimel offre qui la sua prova più convincente, mentre appare sprecata in un ruolo di cornice la brava Beatrice Dalle, ma il film, nel complesso, è senza personalità né originalità e non sfugge a risaputi luoghi comuni e a prevedibili stereotipi sull’ascesa al potere nel mondo della malavita tra barbare rese dei conti, tradimenti e atroci vendette. Serpeggia poi una misoginia di fondo che indispone. Schoendoerffer ha ambizione, mestiere, passione e grinta ma non sa mai dosare adeguatamente gli ingredienti, così che le sue opere all’inizio illudono per poi inevitabilmente deludere, perdendosi in un citazionismo rimasticato, in un estetismo di riporto, in una superficialità ridondante ed in una violenza sterile. Cinema di bassi istinti che picchia duro, lascia inizialmente qualche livido ma si risolve in una bua indolore. Se il nuovo polar passa di qui, meglio rivolgersi altrove. Senza scomodare sempre il solito Melville, lo stesso “36” resta su un altro pianeta, mentre, in tempi più recenti, il pur non perfetto “Une nuit” di Philippe Lefebvre mi è parso più incisivo ed appassionante.

Voto: 5

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