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La banda Baader Meinhof

Regia di Uli Edel vedi scheda film

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giancarlo visitilli

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La recensione su La banda Baader Meinhof

di giancarlo visitilli
8 stelle

“Noi abbiamo imparato che continuare a parlare, senza agire, è un errore”. Questo è stato il principio ispiratore di tanti movimenti, pacifisti, armati, di Destra, Sinistra, Centro, ecc. La storia, però, c’insegna che qualsiasi azione, senza una direzione, un pensiero, è fine a sé stessa. Può essere, talvolta, anche negativa, specie quando ci scappa il morto. E di esempi così, la storia del mondo è piena.
In Germania, negli anni Settanta, tre giovani, Ulrike Meinhof, Andreas Baader e Gudrun Ensslin fondano una cellula terroristica denominata: Banda Baader-Meinhoff. I giovani si scagliano contro le istituzioni tedesche, accusate di essere complici dell’imperialismo americano. La banda si trasforma velocemente in un movimento politico/terroristico noto con la sigla RAF, sorella delle BR italiane. Dopo numerose azioni violente, i capi della RAF saranno catturati dalla polizia tedesca e rinchiusi nel carcere di massima sicurezza di Stammheim, dove trovano la loro morte in un suicidio collettivo, le cui reali modalità non sono mai state chiarite.
La banda Baader Meinhof, tratto dal libro di Stefan Aust, fondamentale saggio scritto nel 1985, non è un film capolavoro, ma importantissimo. Non solo per la sostanza del suo contenuto, tratto da vicende storicamente documentate, ma anche per gli aspetti registici, comunque pregevoli. A partire dal cast, tutto di massimo livello e in stato di grazia (chi perché proviene da un lavoro duro come Quattro minuti, chi perché già attore del bellissimo Le vite degli altri, chi, come Bruno Ganz, perché non ne sbaglia uno), per le scenografie con le quali sono stati ricostruiti gli ambienti degli anni di piombo tedeschi, l’eccellente fotografia con la quale tali ambienti sono stati resi, ma soprattutto per la particolarità di come sono state ricostruite le vicende, non seguendo una linea perfettamente cronologica e consequenziale. Per cui, quello a cui assiste lo spettatore è una sorta di mostra che concatena quadri drammaturgici, intervallati da altrettanti quadri, che hanno la funzione di incorniciare l’opera, perché si tratta di materiali di repertorio. E’ evidente come Uli Edel e lo stesso co-sceneggiatore, Aust, abbiano lavorato per sottrazione: ci sono meno dialoghi e tante vere e proprie scene d’azione, la cui tensione ha una resa incredibile grazie ad una regia asciutta, priva di qualsiasi rigore estetizzante. Anche se il film esteticamente eccelle.
Sorprende lo stesso lavoro degli sceneggiatori e della loro capacità di non elevare affatto i rivoluzionari tedeschi come degli eroi o delle vittime dello Stato imperialista. Piuttosto sono la meglio gioventù tedesca, raffigurati come degli idealisti il cui scopo era quello di riuscire a creare una società più umana, senza accorgesi che sbagliavano nell’uso degli strumenti, disumani e violenti. Convinti che bastava capire solo alcune differenze: “una pietra lanciata contro una vetrina è un atto criminale, mille pietre sono un’azione politica”. Molte, curiosamente le affinità che si possono ravvisare con il gruppo terroristico italiano, a partire dalla descrizione delle azioni dei rapimenti, che tanto ricordano quello di Aldo Moro.
Negli ultimi anni il cinema tedesco si è spesso trovato a ragionare sul passato e sulle ferite ancora aperte del secolo scorso. Tutto è avvenuto mediante pellicole di ampia visibilità, di grandi produzioni, in cui il gusto narrativo accompagna l'esposizione storica. Basti pensare a film come La caduta e il recente Le vite degli altri, fino a Goodbye, Lenin. La banda Baeder Meinhof si inserisce perfettamente nella lista di una grande ed importante produzione cinematografica, di assoluta valenza storica, oltre che artistica. E quando è possibile tale connubio, si tratta di grande cinema. Perché è quello che cambia le vite degli altri, specie dopo le tante cadute a cui la storia costringe. Ce n’è per tutti in questo meraviglioso film, per chi è convinto pacifista, ma anche per chi crede ancora, ostinatamente, nella ‘guerra giusta’, perché è vero quello che nello stesso film si afferma pesantemente: “coloro che fanno violenza sui popoli, quando tale violenza se la ritrovano a casa, impazziscono”. Chi ha orecchi, intenda. Ma è dato capire anche ai sordi, perché l’orrore della guerra, dell’odio e della violenza, priva lo sguardo a chiunque. Giancarlo Visitilli

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