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Tony Manero

Regia di Pablo Larrain vedi scheda film

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La recensione su Tony Manero

di maurizio73
8 stelle

Sordido e male in arnese ballerino di mezza età nella Santiago della dittatura militare degli anni '70, coltiva con lucida e bieca determinazione il sogno di una ribalta televisiva nella emulazione del personaggio che rese famose al cinema l'immagine e le coreografie del Tony Manero di John Travolta. Circondanto da un piccolo gruppo di amici adoranti con cui condivide il palco di una bettola di periferia, finirà per esibirsi in un concorso di sosia piazzandosi mestamente al secondo posto... Primo di una trilogia sugli anni della dittatura militare di Augusto Pinochet (Post Mortem -2010 e No - I giorni dell'arcobaleno -2012 chiudono idealmente il ciclo) e sicuramente il più riuscito dei tre, Pablo Larrain coglie nel segno con questo dramma asciutto e amaro sulla figura di un personaggio senza etica e senza identità, prototipo ideale di una ignavia civile quale sottoprodotto sociale di un governo autocratico e violento nella sua opera di inesorabile annullamento della coscienza collettiva di un intero popolo (quello cileno) braccato nelle strade e martellato dai modelli televisivi di un irraggiungibile e vacuo sogno americano. Muovendosi insieme al suo personaggio (uno straordinario e semi-sconosciuto Alfredo Castro) attraverso le devastazioni e le macerie materiali e morali di una Santiago sotto l'assedio della polizia politica e dell'esercito del generalissimo 'mapuche', Larrain asseconda la folle ossessione di uno sorta di 'sciacallo di regime' non già ossequioso verso il potere ma piuttosto mosso da un cinico opportunismo, la scheggia impazzita di un generalizzato clima di violenza ed impunità dove solo la sovversione è preclusa e non mai il delitto comune (una donna uccisa per il suo televisore a colori, un artigiano martellato nel sonno per le sue piastrelle 'high density', una coppia di anziani esercenti cinematografici massacrati per i negativi della sua 'pizza' preferita). Figura simbolica e insieme ritratto di uno sconcertante realismo sociale, il personaggio di Larrain è il figlio degenere e sconosciuto di una società alla deriva dove i mostri generati dal sonno della ragione rassomigliano alla folle e squallida parodia di una compulsione emulativa che studia mosse e coreografie, musiche e costumi di scena, dialoghi e pettinature finendo per smarrirne (come in tutte le compulsioni) valori e significati, fino allo straordinario epilogo sospeso su cui aleggia, ancora interdetta, la promessa di una incombente e devastante violenza repressa. Attraverso la scrittura asciutta e rigorosa di una sceneggiatura dove la potenza delle immagini sovrasta la scarna essenzialità dei dialoghi, l'autore ci restituisce il senso di un tempo e di un luogo dove la libertà è un miraggio e l'arte si riduce al feroce carosello di una triste pantomima del potere. Miglior film e miglior attore al Torino Film Festival del 2008, presentato alla Quinzaine des Réalisateurs al 61º Festival di Cannes a quanto pare tra la visione distratta di addetti ai lavori poco qualificati; ed è un vero peccato.

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