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Tulpan

Regia di Sergei Dvortsevoy vedi scheda film

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La recensione su Tulpan

di ed wood
8 stelle

Questo film ha il pregio di evitare l'omologazione estetica di tanto "cinema da festival" (trappola manierista, in cui era caduto 10 anni fa il film kurdo-armeno Vodka Lemon) e di insistere con coraggio, intensità, vigore nella radicale scelta stilistica del piano-sequenza. Ce ne saranno una dozzina in questo film, alcuni straordinariamente ipnotici, come quello centrale (Asa tenta prima di convincere i genitori di Tulpan a concedergli in sposa la figlia; poi l'azione si sposta fuori e Asa tenta di comunicare con la stessa Tulpan, fantasma di indifferenza, attraverso la fessura di una porta: una sequenza magistrale, dolce e straziante, alla quale fa eco la crudezza del parto di una capra, estenuante prova di maturità per un giovane "bamboccione": due momenti che danno il senso, formale e contenutistico, all'intera pellicola). D'altra parte, il piano-sequenza si rivela scelta obbligata, in un certo senso, per il regista: il fatto che la steppa, nella sua "infinitezza", non dia punti di riferimento se non il vuoto assoluto, avrebbe reso sterile l'utilizzo del classico, discreto, limitante, campo-controcampo. Gli insistiti piani-sequenza di Tulpan ci immergono a 360 gradi nella brulla ed ostile natura kazaka, facendoci percepire il movimento di uomini, donne, ragazzi, bambini, trattori e bestie in una dimensione le cui coordinate spazio-temporali paiono in perenne definizione. Contribuisce a questo effetto la colonna sonora, composta da gemiti, latrati, bufere, canti popolari e hit radiofoniche. Nel descrivere il tumulto e gli affanni della vita nomade, Dvortsevoy riesce abilmente a coniugare verismo d'ambiente, puntiglio psico-emozionale e trasfigurazione estetica, riallacciandosi, in egual misura, alle diverse lezioni di Flaherty, Kiarostami e Bela Tarr.

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