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The Mist

Regia di Frank Darabont vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su The Mist

di SredniVashtar
8 stelle

Quel che King scrive, Darabont esegue. Se vi piace King vi piacerà anche il film.

Premessa metodologico-giustificatoria

Esistono metodi di valutazione oggettiva dei film. Si prende un gran numero di parametri e si esaminano uno per uno, esprimendo un giudizio, finché la check-list è esaurita. Poi si tirano le somme. Poiché valutare è la mia professione, su FilmTV tanto per variare ho deciso ab initio di procedere diversamente, affidandomi alla suggestione complessiva che una pellicola mi procura, operando cioè per sintesi emotiva.

 

The Mist è un film che mi ha suggestionato parecchio, e favorevolmente. È tratto da quello che considero il miglior racconto di Stephen King (e che non va confuso con The Fog, di cui esistono due versioni, la prima valida (Carpenter) e la seconda una schifezza (cfr: mia recensione su questo)). Ho letto il racconto molti anni prima che uscisse il film e non sono stato minimamente deluso da quest’ultimo. Benché le due trame varino per particolari non essenziali (e per uno essenzialissimo: il finale), l’atmosfera sullo schermo è esattamente quella che mi trasmise il racconto, persino con qualche gadget in più.

 

La storia è semplice: padre e figlio restano barricati in un supermercato mentre fuori si materializza una nebbia impenetrabile in cui vagano creature misteriose e letali. La trama si snoda esaminando la dinamica dei rapporti interpersonali tra la cinquantina di avventori imprigionati nel grande magazzino, con un crescendo di isterismi individuali e pericolosità oggettiva della minaccia delle creature nella nebbia.

Darabont riesce benissimo a interpretare e rendere visivamente ciò che a King preme descrivere, cioè i crescendo di cui sopra. La sua è quindi una riproduzione fedele (al contrario – per esempio – che nello Shining con Nicholson, o in It) e l’abilità della sceneggiatura e regia è di rispettare i tempi kinghiani. Le parole di King, studiate per provocare precisi stati d’animo nel lettore, sono qui replicate nelle immagini, che rispetto al testo godono del vantaggio dell’immediatezza e dello svantaggio della limitazione all’immaginazione (quel che vedi è quel che è, non quello che il tuo cervello elabora). Ecco: almeno nel mio personale caso, quel che Darabont mostra coincide perfettamente con quanto avevo immaginato con la lettura. In altre parole, c’è un’ottima sincronia tra i tempi del film e quelli del racconto, senza fughe in avanti o omissioni descrittive.

King mira a ottenere un’atmosfera, e Darabont si adegua. Però alla fine rilancia di suo: se il finale in King è aperto, nel film diventa drammaticamente, ferocemente beffardo; in una parola, tragico.

È evidente che questa differenza rende nel complesso film e racconto diversi nella morale, ma non per questo il primo ne risente: semplicemente narra una storia differente, un po’ come nel caso di un personaggio che in una versione finisce ricco e famoso e in un’altra muore solo e disperato, immutato restando tutto quanto accaduto fino a quel punto.

 

Parlavo di suggestioni. In proposito è utile e istruttivo verificare su YouTube quanto il film abbia stimolato molti spettatori a proporre il “loro” finale, segno che la pellicola li ha in qualche modo toccati a livello profondo. Vi sono inoltre siti e blog personali dedicati al film, con particolare riguardo alle rielaborazioni grafiche dei mostri più impressionanti, anche qui sintomo che le scelte e gli effetti speciali della regia non sono scivolati via senza lasciare il segno. Una parola a parte merita la colonna sonora, in particolare The Host of Seraphim di Lisa Gerrard dei Dead Can Dance, che accompagna le ultime scene. Mi spingo a dire che la scelta di questo brano, che viene ripreso più volte, fornisce al film un cospicuo valore aggiunto, essendo assolutamente perfetta per le situazioni cui fa da sottofondo. Io posso parlare fino a domani, ma è meglio se ve l’ascoltate sul Tubo.

 

Sugli interpreti. Il protagonista, padre del bambino, è Thomas Jane, un attore non di primissimo piano il cui tratto più rilevante è una certa somiglianza con Christopher Lambert. Io me lo ricordo in Blu profondo (che roba è? appunto…) ma vedo che ha recitato anche in L’acchiappasogni, altro film tratto da un romanzo di King. Jane non è particolarmente espressivo, ma nel film ha la faccia giusta e – soprattutto – una lentezza di movimenti che rende bene l’idea della stanchezza interiore del personaggio. Potevano metterci qualcun altro, ma Jane non stona.

Laurie Holden invece somiglia in bello a Louise Fletcher (Qualcuno volò…), e benché anch’essa non sieda nell’olimpo di Hollywood recita bene la sua parte di piacente “signora da supermarket”, tanto da far tifare lo spettatore per una breve tresca col protagonista, che però nel film non si verifica (nel racconto invece sì).

La parte del leone la fa Marcia Gay Harden, schizzata sociopatica catto-integralista (nel film), che si carica del ruolo più antipatico e destabilizzante: molto brava.

Vale la pena menzionare altri tre caratteristi assai in parte: i vecchietti Jeffrey DeMunn e Frances Sternhagen e “faccia da birillo” Toby Jones, che però tra tutti si dimostra il più lucido, anche quando si tratta di tirare il grilletto.

 

Frank Darabont non è un novellino: Il miglio verde (sempre da King), Le ali della libertà (idem), The Majestic (con Jim Carrey). Per ultimo, la serie tv The Walking Dead. Insomma: conosce il proprio mestiere e direi che si vede.

 

Votazione. Per me, 9. Poiché però ognuno ha la propria sensibilità, cercando di interpretare la vostra – che non conosco – mi limito a 8.

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