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La chiamavano Bilbao

Regia di Bigas Luna vedi scheda film

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La recensione su La chiamavano Bilbao

di moonlightrosso
8 stelle

Splendido paradigma in chiave underground della futura filmografia bigasluniana

"La chiamavano Bilbao" costituisce, in ordine di tempo, il secondo film del regista spagnolo Bigas Luna, scomparso nel 2013 a 67 anni a causa di leucemia ed il primo film che ha usufruito di una regolare distribuzione nelle sale (il suo film d'esordio "Tatuaje", rimasto inedito in lingua italiana e realizzato nel 1976, fu infatti proiettato soltanto tre anni più tardi). Ancora al di fuori di ogni logica commerciale, il regista ci presenta con taglio quasi amatoriale ma non per questo meno efficace, la storia di Leo, un giovane e ricco rampollo debosciato (Angel Jovè), sposato a una donna molto più anziana di lui (Maria Martin) che in realtà detesta ma dalla quale dipende sia economicamente che sessualmente. Unica sua occupazione è quella di girovagare senza meta per le strade di Barcellona. In una di queste inutili peregrinazioni incontra Bilbao (Isabel Pisano), procace e volgare prostituta da strada, con la quale consuma fugacemente un rapporto orale nella squallida stanza di un alberghetto ad ore. L'ozio ed il profondo egoismo del protagonista costituiranno elemento scatenante per l'esaltazione icastica della figura di Bilbao, povera disgraziata dal basso profilo culturale e intellettivo, che si trasfigura in oggetto indiscusso del desiderio, causa ed effetto di ogni pulsione sessuale, oltre che unico riempitivo della vita di Leo, totalmente priva di interessi e valori umani. Il suo vuoto interiore si immerge idealmente in una Barcellona sconosciuta ed oscura, ripresa quasi sempre in notturna, dove l'immediato post-franchismo e l'allentamento dei costumi, ci hanno regalato una terra popolata da puttane e relativa fauna di clienti, magnaccia e lenoni e dove pullulano locali per adulti, cinema porno e pensioncine per incontri mercenari con i sanitari in camera ed il wc in corridoio. Come logica conseguenza dell'abiezione, il protagonista inizia dunque a frequentare ogni sera lo squallido night-club dove la ragazza si esibisce come strip-teaseuse, compra per lei calze, mutandine e corsetti, la pedìna, scopre dove abita e chi la sfrutta, ne ricostruisce, attraverso la fotografia, l'esistenza misera. Un brutto e sconosciuto motivetto teutonico che ripete con stupido cantilenare il nome della ragazza "Bilbao Bilbao" fa infine da ideale colonna sonora dell'ossessione del protagonista. Senza anticipare nulla su un finale disturbante, girato tra polverosi magazzini e mattatoi di suini, il film rimane impresso per un'atmosfera straordinariamente malata, efficacemente esaltata da una fotografia sgranata e sporca con quei colori troppo accesi e dai contorni indefiniti di certa coeva pornografia d'oltreoceano. Presentato al "Festival di Cannes" del 1978, nonostante alcune lungaggini e qualche vuoto di sceneggiatura, il film si dimostra di particolare interesse in quanto vero e proprio paradigma di quelle che saranno le tematiche della futura produzione del regista. L'ossessione per il sesso, la perversione e le sue bizzarre declinazioni, saranno infatti negli anni a venire il leit motiv di acclamati successi come "Bambola", "L'età di Lulù" e "Prosciutto Prosciutto", ancorchè prive di quella purezza, di quella naivétè degli esordi e di quel suo essere straordinariamente e squisitamente underground, dovendo ormai rispondere alle logiche dei budgets elevati, dei casts importanti e della distribuzione internazionale.

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