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La Iena - L'uomo di mezzanotte

Regia di Robert Wise vedi scheda film

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giansnow89

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su La Iena - L'uomo di mezzanotte

di giansnow89
9 stelle

Cupissimo e carico di dolorosi quesiti.

Una delle mie paure ancestrali più possenti, quando ero piccolo, era ritrovarmi in un cimitero a mezzanotte. Robert Wise, ispirandosi ad un racconto di Stevenson, dà forma a questi personali incubi con un bianco e nero da pelle d'oca e slegandosi dalla tradizione passata e futura dello zombi nel cimitero: l'incubo qui è reale, è vivido, è concreto. E' il ladro di cadaveri, una delle figure più putride che si possano trovare, nella persona di un sempre immenso Karloff, che qui sveste i panni dei suoi mitici mostri della fantasia per assumere quelli di un mostro reale, del quotidiano. Tutti i personaggi del film possiedono una loro solida connotazione metaforica. Il professor MacFarlane rappresenta la hybris e insieme la disillusione della scienza. Il progresso scientifico richiede sempre un costo, un sacrificio: MacFarlane si strugge fra la tensione verso l'immortale (cioè il riconoscimento imperituro del proprio lavoro di ricerca) e la vergogna per ciò che questo desiderio comporta. Tutto è sempre fortemente egoriferito, sia la propria aspirazione alla gloria, sia la propria autoumiliazione (è la sua reputazione che è a rischio, non è preso in considerazione il dolore di chi non potrà più nemmeno piangere la tomba del proprio caro). Karloff, il ladro di cadaveri, è il male necessario attraverso cui MacFarlane può perseguire i propri scopi. Come nel Dottor Jekyll, Stevenson si serve del tema del doppio: Karloff è la metà oscura di MacFarlane, è il suo mister Hyde. I due sono avvinghiati in un fatale abbraccio, in un pactum sceleris destinato a condurre alla dannazione entrambi. L'assistente di MacFarlane, il dottor Fettes, si trova invece sul versante più genuino, ancora ignaro, del sogno scientifico. Generosità e altruismo lo muovono, e il fine per lui non giustifica ancora i mezzi. La medicina è una missione e non uno strumento di autoaffermazione. Infine abbiamo la bambina salvata, che è il risultato esteriore, la punta dell'iceberg visibile, del progresso scientifico, e la mendicante, che è il turpe sacrificio richiesto, il sommerso che mai nessuno conoscerà. Traspare persino una vaga critica sociale: l'immolazione dell'indigente serve a salvare il ricco.

 

Sebbene il film esplori il lato più pionieristico e ottocentesco della scienza (il medico era più vicino nell'immaginario popolare alla figura dell'alchimista che allo scienziato), impone lo stesso una riflessione sulle implicazioni morali del voler fare scienza. A chi giovano? Chi paga le conseguenze? E' il benessere collettivo o il proprio nome su un libro di storia, che si ricerca? In pieno periodo atomico (il film uscì a maggio 45, le bombe esplosero in agosto) erano domande terribilmente attuali. 

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