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L'età barbarica

Regia di Denys Arcand vedi scheda film

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La recensione su L'età barbarica

di FilmTv Rivista
2 stelle

Dopo il declino di un impero e le invasioni DEI barbari, la storia ci dice che arriva l’età delle tenebre. È proprio L’età delle tenebre il titolo originale del nuovo film di Denys Arcand – la cui traduzione italiana sembra più un omaggio di marketing che la volontà di rispecchiare l’assunto del film – che riprende i temi (e non i personaggi) dei precedenti Il declino dell’impero americano e Le invasioni barbariche. Il senso della trilogia è stato spiegato dallo stesso Arcand in milioni di interviste che hanno seguito la presentazione del film a Cannes. L’idea del film è nata proprio durante il tour promozionale de Le invasioni barbariche, premiato ovunque al mondo fino alla conquista dell’Oscar per il miglior film straniero. Arcand afferma che ci si sta avviando verso un nuovo Medio Evo dove le speranze e i sogni individuali sono destinati a divenire l’avamposto su cui costruire una sorta di resistenza al buio che incombe. Jean-Marc Leblanc è un uomo di terrificante normalità: infelice, disamorato, alle soglie della disperazione. La sua vita è redenta dai suoi sogni nei quali è finalmente amato, desiderato, considerato sessualmente irresistibile. Ma si sviluppa anche tra sigarette fumate di nascosto, incomprensioni senza speranza con moglie e figlie, colloqui cinicamente disperati con coloro che si rivolgono – senza speranza – al suo sportello statale in cerca di redenzione. Privato del suo universo di riferimento e di salvezza – quel gruppo di amici, intellettuali, progressisti pronti a definire la vita, o la morte, della parte integrante di un gruppo – Jean-Marc tenta solo un’affermazione di vita, una forma di autodefinizione in un mondo che lo respinge, naturalmente, senza sensi di colpa. Il problema del film di Arcand è nella sua granitica sicurezza. La tranquillità con cui gioca le carte di un cinismo, con una spruzzata di innocuo umanesimo, allo stesso tempo saldo e gratuito. La necessità che l’intelligenza di scrittura affondi senza pietà ogni forma di identificazione con i personaggi che descrive. Un quadro raggelante che allontana lo spettatore dalla naturale compassione nei confronti dei protagonisti senza redimerlo nell’ovvio finale.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 50 del 2007

Autore: Federico Pedroni

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