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La trombata

Regia di Sergio Bergonzelli vedi scheda film

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La recensione su La trombata

di moonlightrosso
1 stelle

Di trombata non ce ne è una sola!!

Verso la fine degli anni settanta l'ineffabile Sergio Bergonzelli realizza in trasferta greco-turca una paccottiglia di pellicole destinate a un pubblico di bocca buona e circolate malauguratamente anche sui nostri schermi.

Questo film, del quale è già stato giustamente detto tutto il male possibile e immaginabile, costituisce una malriuscita e poveristica declinazione in chiave erotica di un fortunato sottogenere un tempo assai in voga, inaugurato da "Topkapi" e proseguito con successo nel nostro Paese a partire da "Sette Uomini d'Oro".

Basato su uno sgangherato copione a firma di certo Iannis Maris (chi era costui?) e ispirato a un suo romanzo dal titolo "Il sorriso della Pythia", che non credo sia stato esattamente un "best-seller", il film immerge il malcapitato spettatore già a partire dal delirante prologo, nell'idiozia più topica della cinematografia bergonzelliana, dove ogni goffo tentativo umoristico si traduce, più che nel riso o nel sorriso, in espressioni attonite e sbigottite.

Con il sottofondo di un'irritante marcetta composta con la mano sinistra da un Bruno Nicolai al punto più basso della sua onorata carriera, la voce fuori campo del compianto Gigi Reder, con inspiegabile quanto inopportuno accento napoletano (ma non dovremmo essere in Grecia in mezzo ai greci?), ci narra di un faccendiere sudamericano di nome Castro, sedicente cugino del dittatore cubano (si dovrebbe sorridere??!!), che viene ingaggiato da un armatore miliardario e collezionista d'arte per rubare una preziosissima statua dal museo di Delfi della quale intende impossessarsi a tutti i costi. Muovendosi tra la Grecia, la Turchia e persino la Francia, il losco figuro costringerà con svariati e strampalati ricatti un manipolo di improbabili personaggi per realizzare il colpo. Seguiranno confuse e farneticanti peripezie dei nostri eroi sino a un finale di inaudita assurdità del quale preferiamo non anticiparvi nulla (davvero vedere per credere)!!!

Diretto con i piedi, fotografato con salti di luce e con bottiglie di "J&B" perennemente in primo piano, il film annovera come protagonisti lo scialbo attore greco Lakis Komninos (in arte Larry Daniels) e la nostra Wilma Truccolo (in arte Karin Well), la quale conobbe nel corso dei frizzanti anni settanta una fugace popolarità come sosia "svestita" di Raffaella Carrà. Il paginone centrale dedicatole da un qualche numero della rivista "Playmen" che la ritrae a gambe spalancate e con il pube al vento costituì senz'altro un ambìto trofeo per i camionisti dell'epoca. Presenza "peperina" della nostrana serie Z, oltre che abituale musa bergonzelliana, l'attrice sacilese, con la sua inconfondibile aria sbarazzina e quasi beota, fu tangenzialmente contaminata, all'epoca del girato, anche dalla nascente industria dell'hard tricolore, pur non avendo mai preso parte a scene esplicite (o almeno così pare). Purtroppo l'agonia del nostro cinema di genere pose la parola fine alla modesta carriera di una starlet magari non bellissima ma sicuramente dotata di una forte carica di sensualità.

Comunque e al di là di tutto, entrambi i protagonisti nei comprensibili ruoli del bello e della bella di turno e con una Well truccata in modo agghiacciante con inquietanti sopracciglione azzurre, daranno vita a quella che può definirsi la vera e propria scena madre del film, traducendo nei fatti ciò che promette lo straniante titolo: un coito assai vicino all'hard maldestramente montato due volte per "allungare il brodo" e musicato con colonna sonora di riciclo da "Perchè quelle strane gocce di sangue sul corpo di Jennifer" dello stesso Nicolai.

Sul resto dell'imbarazzante cast meritano una menzione l'ex signora Pannacciò Jessica Dublin nel ruolo tanto becero quanto inutile di un'attempata miliardaria affamata di sesso, e la greca Tina Carolou (in arte Tina Carol) nella parte della direttrice del museo di Delfi. Per la gioia degli amanti del trash, l'attrice in questione ci sciorina un delirante flusso di coscienza, capolavoro di filosofia spicciola, in cui mette a confronto da un lato la storia d'amore vissuta in flashback con il fascinoso protagonista Komninos, portatore di fisicità e di gioventù (così si dice!) e dall'altro la sua attuale vita matrimoniale con un professorone occhialuto, allampanato e babbione, simbolo di spiritualità ed intelletto (e anche qui così si dice!).

Proseguendo l'excursus sul deprimente panorama attoriale, non si possono non citare gli illustri sconosciuti di quel dell'Ellade che interpretano il faccendiere Castro, di cui si ricordano l'untissima capigliatura, l'ignobile riportone, le risate sconclusionate con i denti marci e la faccia da idiota; il professore ubriacone esperto di esplosivi che pensando di far ridere parla con la voce di Stanlio e, per concludere, l'armatore miliardario in sedia a rotelle che pare trovato la' per la' e che proferisce comprensibilmente il minor numero di battute possibile; ciò naturalmente senza tralasciare i suoi improponibili sgherri: due miserabili figuranti di cui uno riccioluto e l'altro con tanto di barba e mustaccioni alla turca e che rispondono ai nomi quanto mai assurdi di Strozzo e Cojon (vedere per credere!!!).

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