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Bobby

Regia di Emilio Estevez vedi scheda film

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La recensione su Bobby

di ROTOTOM
6 stelle

Robert Kennedy per l’America fu lo spartiacque tra ciò che avrebbe potuto essere e ciò che di colpo non fu più. Ancora di più che nei confronti di Jfk, per gli americani Bobby avrebbe incarnato la voglia di cambiamento della società divisa da odio razziale, classismo sociale, guerre inutili e poco lungimiratamente perse in partenza. Il film di Emilio Estevez trasuda un grandissimo entusiasmo nel raccontare le ultime ore del quasi neo presidente americano e tutti gli attori convenuti in un cast stellare, sono sinceramente impegnati in un’opera sentita e dovuta. Ma non è la storia di Bobby, è la storia delle storie dei comprimari dell’America sognante, stordita di recessione, rattrappita dalla guerra fredda. Divisione, è di questo che parla Estevez, Bobby fu spartiacque di un bivio storico e la coralità della storia si dipana tra coppie di personaggi nell’America divisa, sognanti come la società sognava sé stessa migliore, ribelle come gli anni ’70 alle porte avrebbero confermato, rassegnata come l’aleggiare sinistro dell’assassinio di Martin Luther King incombe negli occhi disillusi di chi sa annusare l’aria.
L’albergo in cui la storia nasce si sviluppa e muore è una nazione in miniatura con le tensioni e le speranze di un popolo forse mai come in quel preciso momento storico padrone di una coscienza civile forte e pronta al cambiamento che vede in Bobby, l’ospite illustre, il catalizzatore di tutti i desideri sempre più espressi di democrazia, pace e giustizia Allora ecco il mischiarsi delle categorie sociali, con la parrucchiera (Sharon Stone, ottima) prendere le confidenze di una schiantata diva del palcoscenico ( Demi Moore), entrambe in crisi con il marito l’una per tradimento, William Macy direttore dell’albergo che si vede con l’ultima delle centraliniste Heather Graham, l’altra per soffocamento, condannando il mite Estevez, anche attore, a curare il cane e subire ogni tipo di angherie. Nelle cucine, le tensioni razziali si tagliano con il coltello, messicani e neri si sfidano a colpi bassi, il capo cucina è un razzista ( Christian Slater ) che in fondo in fondo la vede giusta. Anthony Hopkins e Harry Belafonte si sfidano a scacchi e sperano in un futuro migliore. E così via, tra bianchi e neri, mariti e mogli e amanti, ricchi e poveri, matrimoni scampa Vietnam e l’irruzione dell’Lsd nella vita di due giovani addetti alla campagna elettorale del Senatore Kennedy, il film scorre fin troppo semplice e corale, leggero accarezza la superficie tentando di mostrare quello che c’è sotto, Estevez prova a fare Altman inseguendo le vite dei personaggi, intrecciando le storie l’una con l’altra ma del grande Bob non possiede la stessa capacità tecnica, l’ironia sospesa tra il tragico e il divertito, il disincanto dissacrante nei confronti della storia e forse queste sono le pecche di un film che avrebbe tanto da dire ma che alla fine scorre senza picchi e senza cadute, povero di uno stile proprio, incisivo, che avrebbe giovato all’intero impianto, poco sorretto soprattutto da una sceneggiatura non profondissima che si perde a volte in orpelli inutili di ridondante sovrascrittura. L’intento non era quello di fare un documentario -verità sulla morte del Senatore Kennedy, anzi del perché venga ucciso non ne viene assolutamente fatta menzione, anche se è palese il tentativo di farne filtrare le motivazioni, la scelta di inserire immagini di repertorio delle interviste del senatore fa comprendere quanto la gente lo venerasse, al punto da chiamarlo confidenzialmente Bobby, un nomignolo da vicino di casa, nonché di penetrare se possibile sempre di più nello spirito dell’epoca. Le riprese dell’omicidio sono forse le più azzeccate, nelle cucine ci sono proprio tutti, tutte le classi sociali, tutte le razze schiacciate tra gli angusti locali asettici e lucidi, uniti e adoranti fino agli spari, confusione e camera a mano, montaggio frenetico e inserimenti di pezzi di repertorio mostrano il deflagrare di tutte le speranze covate e coccolate fino ad un secondo prima della tragedia. La società si disgrega, gli occhi si smarriscono, le bocche rimangono aperte in un grido muto che si accomuna, si sovrappone agli echi della disperazione per l’omicidio di Martin Luther King, il Vietnam continua nella sua opera di distruzione. Il paese che si stava unendo forse per la prima volta, viene definitivamente diviso. Gli ultimi minuti del film sono senza parole, immagini e musica calcano la mano sulla tragedia forse un po’ troppo enfaticamente, difetti che si ritrovano spesso nei film ad alto tasso di patriottismo. Una chicca, i titoli di testa sono posizionati in coda, prima dei veri titoli di coda. Come a ribadire il fatto che Robert Kennedy fu bivio di due società possibili. Alla sua fine, il titolo Bobby intende l’inizio della storia senza di lui, ovvero come è ora sotto gli occhi di tutti.

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