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Un americano a Parigi

Regia di Vincente Minnelli vedi scheda film

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La recensione su Un americano a Parigi

di luisasalvi
2 stelle

Considerato il capolavoro di Minnelli e uno dei capolavori della commedia musicale, che è un genere che non amo ma di cui apprezzo alcune opere, ne ho visto per ora solo i primi venti minuti, e lo riprenderò solo perché è molto noto e molto lodato, altrimenti lo avrei già buttato. Ne scrivo dunque a titolo molto provvisorio, tanto più che dopo il successo immediato di pubblico è stato "più tardi rivalutato anche dalla critica" (Di Giammatteo): vediamo se lo rivaluterò anche io. Per ora mi pare di una ingenuità sconcertante e recitato malissimo, da filodrammatica di paesino (dell'epoca; oggi sarebbero meno ingenui). Kelly, che ho apprezzato altrove come coreografo e ballerino, qui si rovina a fare l'attore per cui non è tagliato; forse saranno meglio i brani musicali; in tal caso c'è da lamentare che Minnelli non si sia limitato a quelli. E' buona l'idea di far presentare Lise (Leslie Caron) dall'innamorato, che ne propone aspetti diversi e contrastanti del carattere, mimati in balletti evocati da lei sullo schermo; ma quei balletti sono ingenui e molto modesti come resa del carattere, tranne forse uno o due; il resto, almeno per i primi venti minuti, è proprio nulla, in cui si spreca la musica di Gershwin.

Faticosamente finito di vedere in tre noiose serate, è proprio insulso fino alla fine; anzi, più di tutto il finale, in cui, dopo il raccontino di Lise che dice di sentirsi costretta a sposare per riconoscenza il fidanzato che l’aveva raccolta bambina orfana durante la guerra, lui ascolta non visto le dichiarazioni d'amore dei due protagonisti e, dopo aver portato via Lisa per consentire l'ultimo sogno di balletto di Jerry (Kelly), la riporta indietro e se ne va sorridendo radioso. Va bene il lieto fine, d'obbigo in America in quel periodo e tanto più in una commedia musicale, ma un briciolo di sensibilità e di gusto non disturberebbe.  Invece è volgare in tutto, cioè privo di gusto, di garbo, di finezza, di sensibilità. Il lungo e vario balletto onirico finale sulla bella musica di Gershwin avrebbe anche qualche idea buona, ma che viene subito involgarita, come il cancan emerso da un disegno di Toulouse Lautrec, in cui le ballerine a gambe larghe (come in quasi tutti i balletti americani) ben osservate dalla cinepresa sotto le gonne sollevate avranno forse provocato grida di giubilo fra la bassa truppa ma non hanno nulla a che fare con la raffinata seduzione francese delle ballerine di Parigi o perfino dei dipinti di Lautrec, proposte come un trionfo di volgarità che però non contamina il quadro, come invece avviene di questo balletto. La Caron è goffa e insulsa; Kelly recita male (ma gli altri molto peggio) e nel ballo è bravo ma per nulla ispirato. Un film da buttare.

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