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Hiruko, the Goblin

Regia di Shinya Tsukamoto vedi scheda film

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AndreaVenuti

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La recensione su Hiruko, the Goblin

di AndreaVenuti
7 stelle

Hiruko the Goblin è un film giapponese del 1990, scritto e diretto Shin'ya Tsukamoto

 

Sinossi: Il professore Yabe insieme alla studentessa Reiko durante una visita in una angusta e profonda grotta risvegliano accidentalmente il demone Hiruko, il quale si rifugia rapidamente in un istituto scolastico situato nei pressi della grotta, dando vita ad una terribile carneficina. Solamente l’archeologo Hideo, grande amico di Yabe, ed il giovane Masa proveranno a fermare il temibile Hiruko…

locandina

Hiruko, the Goblin (1990): locandina

Nel 1989 un giovane Shin’ya Tsukamoto si apprestava a scuotere dalle fondamenta il cinema giapponese grazie al suo primo lungometraggio; si parla ovviamente di Tetsuo, opera che presenta impavidamente una poetica stilistica innovativa, incentrata in primis sul rapporto fra l’uomo ed una metropoli in continua evoluzione sempre pronta ad inghiottire e fagocitare il singolo individuo, il tutto poi filtrato da un particolarissimo approccio dove cyberpunk e body-horror si incontrano e si amalgamo perfettamente messi in scena però in modo assolutamente originale, con una regia furiosa e spasmodica.

 

Pertanto viste le premesse, lo storico studio Shochiku prova a cavalcare il momento scritturando il regista e dato che in patria Tetsuo Tetsuo non ebbe molto successo e visibilità mentre nel resto del mondo si, Tsukamoto accetta di realizzare un film su commissione con l’obiettivo di coprirsi economicamente le spalle per poi continuare il suo percorso autoriale.

Nasce dunque Hiruko the Goblin, una pellicola completamente estranea dalla visione filmica del suo autore, una sorta di vacanza premio che permette al regista di divertirsi e sperimentare elementi a lui nuovi ed insoliti.

Hiruko the Goblin si presenta come uno slasher-horror in salsa comica di matrice americana fedele però ad un folklore tipicamente giapponese con delle trovate tecnico-stilistiche di rilievo.

L’inizio mette subito in chiaro la situazione, avvertendo in qualche lo spettatore circa l’atipicità di questo film in rapporto al suo autore. 

Tokyo ed i suoi immensi ed oppressivi grattacieli qui non sono minimamente menzionati, anzi l’ambientazione è totalmente opposta e le prime sequenze lo confermano chiaramente, prima con giovane studentessa in sella ad una bici intenta ad esplorare un’immensa campagna immersa nel verde poi con un gruppo di giovani bighellonare nei pressi di un incantevole laghetto in mezzo alla natura.

 

Passano pochi minuti e la bellezza paesaggistica viene gradualmente sostituita da un impianto orrorifico, distinto da morti misteriose fuori campo seguite da improvvise ondate di sangue che riempiono l’inquadratura.

La suspense inizialmente è tangibile e ben gestita tuttavia viene volutamente smorzata da una comicità grottesca -non la vedremo più nella sua filmografica- tipicamente orientale ( pensiamo agli horror-comedy anni Ottanta made in Hong Kong). Comicità alternata a momenti puramente slasher dove comunque si mantiene un imprint grottesco mentre nel finale, in modo inaspettato, il regista ci regala un frangete poetico e surrealista con tutte le vittime che si materializzano sotto forma di nuvole giganti e con un sorriso sincero stampato sul “volto” spiccano il volo verso l’infinito.

 

Un fattore aggiuntivo d’interesse riguarda i già citati richiami ad un certo horror americano; Shin’ya Tsukamoto omaggia esplicitamente La Casa di Sam Raimi sia da un punto di vista strutturale/concettuale (liberare una presenza demoniaca e rimanere in qualche modo bloccati in un edificio) sia a livello di messa in scena (un protagonista per cercare di uccidere il demone usa una motosega).

Un altro collegamento, leggermente più velato, è al Ghostbuster di Reitman; l’archeologo Hideo porta con sé uno strano spettrometro simile ad alcuni leggendari oggetti usati dagli acchiappafantasmi più famosi della settima arte.

 

Ritornando su Shin’ya Tsukamoto è doveroso evidenziare come l’ottima regia espressa in Hiruko the Goblin sia però lontanissima dalla sua poetica. 

Scordatevi il suo stile tambureggiante con macchina a spalla instabile e convulsa, montaggio serratissimo e musica industriale; nel film prevarranno lenti movimenti intervallati da un montaggio calibrato ed una camera spesso fissa.

L’unico instante che ricorda lo Tsukamoto underground equivale, ad inizio film, alla soggettiva del demone in fast-motion con accelerazioni improvvise, anche se questa scelta può essere letta come un ulteriore omaggio a Raimi e al suo metodo di regia.

 

Piccola curiosità: l’archeologo Hideo è interpretato dal noto cantante Kenji Sawada visto nell’eccentrico The Happines of Katakuris  del maestro Takashi Miike.

 

Hiruko the Goblin nonostante sia un film su commissione lontanissimo dalla “scuola” Tetsuo è pur sempre un’opera estremamente godibile, folle al punto giusto e diretta con maestria.

 

Voto: 7.5

 

 

 

 

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