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Memorie di un assassino

Regia di Joon-ho Bong vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Memorie di un assassino

di axe
7 stelle

Corea Del Sud, metà degli anni '80. Un serial killer uccide giovani ragazze eseguendo una sorta di rituale; benchè emergano degli indizi in grado di orientare le indagini, la squadra di investigatori che si occupa del caso brancola nel buio; i sospetti che vengono fermati, benchè rilascino confessioni estorte con la violenza, o sembrino avere uno stretti legame con gli eventi, risultano innocenti. Ispirato ad eventi realmente accaduti, questo film di Bong Joon-Ho è un poliziesco atipico, almeno secondo i parametri, a me più noti, del cinema occidentale. Interesse primario del regista coreano è descrivere le travagliate fasi dell'indagine. La squadra di investigatori è composta da personaggi molto diversi, e spesso in contrasto, tra loro. La fortissima pressione dell'opinione pubblica impedisce agli inquirenti di lavorare con la calma necessaria; pertanto la loro attenzione si concentra intorno ad individui con problemi psichici. Sarebbero colpevoli "perfetti" ma non esistono prove a loro carico, anche se qualcuno tenta di produrne di false. lo stesso è per un terzo individuo, perfettamente capace d'intendere e di volere, ma scagionato da un test del codice genetico. L'indagine è condotta con metodi moderni - esempio, il citato test del D.N.A. - cui si affiancano strumenti tradizionali e non più ammissibili in un contesto di rispetto dei diritti umani, quali il "torchiare" i sospettati, anche con torture fisiche e psicologiche. Questa contrapposizione tra persone e metodi potrebbe essere interpretata come uno specchio del contesto sud-coreano di metà anni '80. Sappiamo che in quel periodo era in corso una transizione - avviata con l'assassinio del presidente Park Chung-Hee nel 1979 - non proprio indolore, da uno stato di dittatura di fatto ad una completa democrazia. In un quadro così fluido, il rapporto tra forze dell'ordine e società civile non può che essere conflittuale. Le prime sono viste, per il loro ruolo, come forze conservatrici, essendo state strumento di repressione del regime; la seconda, tramite i media, particolarmente critici, domanda risposte che ancora non può avere. Il caso rimane insoluto, benchè il regista lasci comprendere come, nonostante difficoltà di ogni sorta, errori, forzature, azioni negative quali torture e fabbricazione di prove false, la squadra si sia avvicinata molto alla soluzione. Buona l'interpretazione degli attori, nei ruoli degli investigatori, personaggi nevrotici ed impulsivi. I loro atteggiamenti esprimono nitidamente la sofferenza che comportano le difficoltà quotidiane, la quale trova una valvola di sfogo nel rapporto con i sospettati, "torchiati" anche con un certo gusto, elemento questo ben documentato da Bong Joon-Ho, che non manca di inserire qua e là dettagli e particolari macabri. Immagino, a questo proposito, quale forte impatto possa aver avuto quest'opera in Corea Del Sud. Il film è del 2003, il periodo di ambientazione è di neppure venti anni prima; chissà quale valutazione hanno dato della ricostruzione di quel contesto coloro che l'hanno vissuto. Io ho visto il film dopo aver "conosciuto" il regista con Snowpiercer e Parasite - emerge anche in quest'opera, come in quelle, una certa venatura grottesca - ed incuriosito dalle valutazioni positive, con le quali concordo, anche se immagino che un pieno apprezzamento del film sia possibile solo per i testimoni di quel particolare momento storico della Corea del Sud.

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