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Harvey

Regia di Henry Koster vedi scheda film

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PatStout

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La recensione su Harvey

di PatStout
8 stelle

Una commedia come solo nell'America della prima metà del Novecento si sapeva fare anche se l'autrice del testo teatrale (che le fece vincere il Premio Pulitzer nel '47) si rifà alle leggende nordiche e ha capito bene Pirandello.
Nonostante la ventina di riproposizioni successivesul palcoscenico e in tv non si può disancarorare questo film dall'eccezionale successo avuto dalla prima versione in teatro e da questa per il cinema che conserva tre attori principali e si alimenta della sua stessa fama, proverbiale fino a quando il bianco e nero non è stato espulso dalle prime serate televisive.
Ricordo che, quando ero bambino (anni Sessanta e Settanta), era una delle poche pellicole non a colori ad essere abitualmente rieditata nelle proiezioni estive e poi in tv dove raccoglieva tra i piccoli che non l'avevano visto un favore pari a quello dei genitori e dei nonni arrivati alla quinta o sesta visione.
Insieme ad Arsenico e vecchi merletti forse il più ribadito successo comico statunitense del secolo scorso.
Stewart, che con Josephine Hull e Victoria  Horne (la nipote) aveva tenuto a battesimo il personaggio di Elwood P.Dowd, raggiunge il sublime, ai confini dell'inquietante, nella raffigurazione di quest'uomo che si è rifugiato nella fantasia per orrore della vita come risulta chiaro dallo struggente dialogo nel vicoletto dietro il bar di Charlie con lo psichiatra dalla mentalità ristretta e l'infermiera tutta cuore.
Tutti gli attori che hanno tentato di rifarlo hanno ammesso che si potevano tentare strade diverse e autonome ma, se si pensava a lui, non si poteva non riconoscere come James Stewart fosse irripetibile tanto che il personaggio di Elwood è diventato il simbolo della sua umanità e dello spirito di tolleranza di questo attore che, conservatore in politica, è stato uomo profondamente innovativo nella società culturale americana.
Oggi ci sembra meno espressamente comico e più tragico di quanto potesse apparire nella sua epoca più ottimistica e piena di speranze. Negli occhi di Stewart-Elwood si legge a tratti la disperazione di chi si sa incompreso dagli altri e cerca nella fauna dei bar di second'ordine e in molti Martini di convincersi pienamente che sia completamente buono la scelta di rifugiarsi nella fantasia,
Tutto attorno la commedia gioca ritmi quasi slapstik e diverte con gli espedienti classici del genere anche se stona un pò il dottore, interpretato da un attore che non riesce a rendere a pieno la sordità del suo carattere anteposta alla sconfinata umanità di Harvey.
Si gioca anche molto sull'esistenza o meno di Harvey (che in effetti compare traslato lasciando ora un cappello con due buchi per le orecchie; facendo sparire il borsellino della Hull in un momento cruciale; rendendosi palese allo psichiatra anziano che capisce la realtà di Elwood anche se non riesce a portargli via totalmente l'amicizia del coniglio.
Ma non bisogna pensare superficialmente che Harvey sia un coniglio gigante, bisogna pensare che sia un Pooka (come più volte precisato) cioè uno spiritello buono (di cui si riscontrano tracce, fin dalla notte dei tempi, nelle isole brittaniche, in Scandinavia e nella Germania del nord, dove, non a caso, si sono contati i maggiori tentativi di riproporre il testo originario) che si avvicina ai puri di cuori e diventa malevolo con i cattivi.
In tutto questo c'è più Freud al naturale che in tanto psicologismo americano di poi, rinchiuso sulle motivazioni personali di ciascuno e mai sulle influenze della società, diversamente da qui dove la figura di Elwood è vista anche nel confronto, non solo con la parentela disperata e i dottori attoniti, ma anche con ciò che di lui pensa la sua città anche se questo aspetto è traslato nei dialoghi per rispetto alla sinteticità della commedia teatrale.
Insomma, ancora oggi a 62 dalla sua comparsa sugli schermi, a più di 40anni da quando ero bambino, conserva i suo valori e soprattutto la sua estrema capacità di porre degli interregativi intelligenti.
Ma se, dentro di voi, pensate che Elwood sia solo un povero scemo e che Harvey non esista (e così il conflitto immaginazione-scienza che è un'altra modesta proposta di questa storia) lasciate perdere.
Harvey è un film che non può invecchiare perchè è fermo nella sua epoca. Rattrappiscono i gusti degli spettatori, che anche gli utenti di questa rubrica, se risolvono tutto in un marchio di datazione che invece è solo antitesi ai gusti limitati della commedia americana di oggi. E poi il bianco e nero influenza solo coloro che non capiscono come, in questi contesti, la fantasia dello spettatore è più stimolata che in cento film a colori e ad effetti speciali del nostro tempo di crisi e di deflagrazione morale.
Josephine Hull (che veniva da Arsenico e vecchi merletti) vinse l'Oscar come "miglior attrice non protagonista" mentre Stewart, candidato come "miglior attore protagonista" se lo vie negare in favore di Jose Ferrer.
Ma il Cyrano di Bergerac con l'eclettico attore e regista di origine portoricana, anch'esso tratto, e bene, da un rinomato testo teatrale, rappresentava una coraggiosa produzione indipendente e un regista, Michael Gordon, allora considerato un anticonformista.
Inoltre Harvey aveva già raccolto un successo superlativo e planetario e ai Golden Globes dello stesso anno ripetè l'exploit del Pulitzer. E, alla fin fine, al giudizio del tempo, ha vinto per sempre la battaglia della notorietà.
Speriamo per sempre. L'idea che Spielberg voglia provare un remake fa rabbrividire per l'improprietà dell'operazione e la presumibile zuccherosità del nuovo contesto.
Se c'è una vicenda che non si presta fuori dai tuoi tempi questa è proprio quella di Harvey e del suo ineffabile e indimenticabile Elwood di James Stewart che trasmette divertimento e allegria, ma anche incertezza e dubbio, sublima la figura del "fool" in una diatriba sul diritto alla felicità e all'anticonformismo che piacque molto anche a Basaglia.

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