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Diario del saccheggio

Regia di Fernando E. Solanas vedi scheda film

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La recensione su Diario del saccheggio

di Peppe Comune
9 stelle

“Argentina, ottobre2001. Il governo dell’alleanza è destituito in seguito alle elezioni legislative. Il presidente De La Rua non ascolta le richieste di cambiamento. In due anni le sue promesse di centrosinistra sono state sostituite dai progetti del Fondo Monetario Internazionale che rappresentano il proseguo del governo di Carlos Menem. Aumenta la recessione. Milioni di poveri e disoccupati. Ingenti fughe di capitali. Le banche bloccano i depositi. La crisi si aggrava”.

Questa è la premessa storica che accompagna “Diario del saccheggio” di Fernando Ezequiel Solanas, un film documentario che poi si preoccupa di andare indietro nel tempo, fino alle cause principali che diedero inizio ad un indirizzo politico che mandò un intero paese sull’orlo del baratro. A partire dal 1983, dopo la caduta del regime militare di Jeoge Rafael Videla a seguito della sconfitta nella guerra delle Falkland-Malvinas contro gli inglesi, quando i successivi governi avviarono una serie di riforme di stampo rigidamente liberista. Sembrava per il paese l’inizio di una rinascita, ma i vari Raùl Alfonsin, Carlos Menem e Fernando De La Rua seppero solo disattendere le migliori aspettative del popolo, piegandosi ai diktat del Fondo Monetario Internazionale e svendendo alle banche estere tutta la ricchezza del paese. Tutti i settori strategici dell’economia argentina furono privatizzati, ogni bene pubblico fu svenduto a delle corporazioni straniere, i titoli del debito pubblico divennero un cappio al collo per il paese. Ad arricchirsi sono stati quelli che già lo erano, la classe dirigente argentina e i lobbysti stranieri che vivono accumulando capitali distribuendosi dividendi. A perdere tutto sono stati, invece, le piccole e medie imprese, i commercianti, i lavoratori, quelli che iniziarono a conoscere i demoni della disoccupazione e della povertà stringente. Fernando Ezequiel Solanas dedica a queste vittime designate il film, a “coloro che resistettero in quegli anni, alla loro dignità e al loro coraggio”.   

 

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"Diario del saccheggio" : scena

 

“El pueblo unido jamàs serà vencido”, questa frase celebre, resa seminale grazie alla canzone omonima cantata dal gruppo cileno degli Inti Illimani durante tutti gli anni settanta, si accompagna spesso alla rabbia del popolo manifestante che scende per le strade per far sentire la sua voce contro le vessazioni praticate dalle politiche economiche del governo centrale. Parole che reclamano un auspicio necessario e certificano un dato di fatto inoppugnabile : che solo scongiurando l’atomizzazione coatta, voluta per il mondo globalizzato dal direttorio dell’azienda mondo, è possibile unire le forze dei diseredati contro chi decide arbitrariamente sulle sorti delle loro vite. Un film documentario concentrato principalmente sulla voglia del popolo di ritornare ad essere protagonista nelle scelte di indirizzo politico, sulla sua fiera resistenza contro il dominio del pensiero unico, è stato soprattutto “La dignità degli ultimi”, dove Solanas mostra i diversi modi in cui il popolo si è organizzato per protestare contro lo sciacallaggio del potere costituito. Un film che dimostra chiaramente come la sopraggiunta povertà che ha riguardato vasti strati della popolazione argentina, piuttosto che essere la somma algebrica di tanti fallimenti individuali, cosa che soprattutto il potere mediatico si premunisce di insinuare nelle psicologie malmesse di chi ne subisce tutti gli effetti negativi, è il frutto di guasti di sistema prodotti da chi, fregandosene impunemente di perseguire il tanto reclamizzato interesse generale, indirizza unidirezionalmente gli sviluppi della ricchezza nazionale. Ecco, se “La dignità degli ultimi” ci mostra come il popolo argentino cerca di organizzare la lotta per contrastare gli effetti prodotti dalla crisi economica, “Diario del saccheggio”, già dal titolo, ci comunica di voler essere un resoconto dettagliato sulle cause politiche ed economiche che l’hanno prodotta. Due film usciti ad un anno di distanza l’uno dall’altro e che andrebbero visti insieme (poi se si recuperasse anche “L’ora dei forni”, sulla povertà prodotta dal neocolonialismo economico, non si farebbe male) perché insieme rappresentano un poderoso affresco storico suscettibile di conservare una sua utilità analitica al di là della cornice spazio-temporale in cui si muove : un’analisi documentata sul saccheggio di una nazione perpetrato per nome e per conto dell’ossequio che si deve incondizionatamente al modello economico dominante. Perché l’Argentina è un grande paese, per varietà, qualità e quantità di risorse indigene, uno dei più ricchi del pianeta, un paese troppo importante per non poter rappresentare la pietra angolare di un ragionamento sullo stato delle cose che va ben oltre la sua particolare condizione socio economica. “Diario di un saccheggio” è un pugno nello stomaco inferto contro la sonnacchiosa indifferenza di quanti si voltano sempre dall’altra parte. Un urlo di sdegno rivolto contro il nostro etnocentrismo occidentale, contro il nostro perbenismo di facciata. Perché mostra come l’Argentina sia stata la cavia designata di un ladrocinio pianificato resosi possibile per la presenza in uno stesso insieme di più aspetti concomitanti : le ricchezze ingenti del territorio Argentino, una classe dirigente pronta a lasciarsi alle spalle gli anni della dittatura militare consegnandosi supina alle sirene suadenti del modello liberista e i reggitori unici del vapore economico, tesi a speculare con calcolata furbizia sulle carenze strutturali di questi paesi a “democrazia debole”, a modo loro, rimanendo nell’ombra, lontani dalle scosse telluriche, anonimi e sfuggenti, lasciando che a prendersi la ribalta siano quei capi di governo a cui la storia si premunirà di dare o togliere gloria a seconda delle situazioni contingenti. In fondo, i vari Alfonsin, Menem, De La Rua, oltre ad essere i reggitori dei quelle che Solanas chiama le “mafiocrazie”, diversi dai capi militari perché hanno imparato un modo più soft di iniettare la disperazione nel popolo, o perché sanno apparire telegenici in un tempo votato al culto dell’immagine, sono delle marionette in mano a chi ha tutto l’interesse a speculare sulla loro sete di potere, sulla loro predisposizione a portare al banchetto delle grandi organizzazioni economiche quanto c’è di più prelibato tra le pietanze che il loro paese può offrire. Un potere tentacolare che sfugge alle stesse colpe che produce in serie, che sa cannibalizzare discretamente ogni anelito di dissenso, che sa autoalimentarsi attraverso un’autoreferenzialità che non può che essergli propria dato che è il reggitore unico delle regole da adottare. Questo aspetto capitale dell’intera questione argentina trattata dal film, Fernando Solanas ce lo mostra concentrandosi in una maniera molto cinematografica sul look di Carlos Menem. Prima, quando era un riformista progressista imbevuto di ideali da declamare a memoria al popolo giubilante, portava i basettoni folti per omaggiare il “caudillo” Juan Facundo Quiroga, detto “El tigre de los Llanos”. Dopo, con i basettoni tagliati, le cravatte intonate alla camicia, i vestiti griffati e i tratti da indio improvvisamente scomparsi dal suo volto smunto, mentre balla e canta in televisione e fa il simpatico con le belle signore. È l’osmosi avvenuta, viatico necessario per il completo tradimento di un intero popolo da parte dei suoi governanti.

“Diario del saccheggio” è tutto questo, un grande film documentario che lascia raccontare le sue finalità "militanti" alla chiarezza icastica delle immagini e al significato inequivocabile delle parole. Si intervistano giornalisti, uomini di legge, economisti, imprenditori che hanno perso tutto, anziani che si sono visti sparire i risparmi di una vita, persone che hanno perso un lavoro, altre che un lavoro vero non l’hanno mai avuto, tutti testimoni oculari del ladrocinio legalizzato perpetrato da un’intera classe dirigente ai danni di un’intera nazione. Solanas parla senza mezzi termini di “genocidio dei poveri”, perché prima che la crisi deflagrasse in tutta la sua irreparabile gravità, prima che diventasse oggetto di discussione nei salotti mediatici, venne fatta un’opera di rimozione calcolata delle vittime designate della crisi, escluse da ogni possibilità di far sentire la propria voce nei dibattiti televisivi, rimosse dalle coscienze immacolate del mondo globalizzato. “Ogni bene statale non sarà più dello Stato”, questo fu il motto di Menem, che per la sua opera di privatizzazione indiscriminata di ogni comparto dell’economia argentina, fece parlare di “miracolo economico”, accolto con tutti gli onori alla Casa Bianca e omaggiato dai divi della musica (tipo i The Rolling Stones). Ecco, “Diario del saccheggio” descrive in maniera encomiabile il come la politica argentina, con la complicità interessata delle organizzazioni internazionali, ha impoverito un intero popolo. E lo fa senza preoccuparsi di apparire partigiano, ma limitandosi a mostrare la faccia dell’ingiustizia per quella che è. I film di Fernando Ezequiel Solanas sono un po’ come “Le vene aperte dell’America Latina” di Eduardo Galeano. Per chi voglia conoscere di più è meglio quel mondo, di giungere e delle riflessioni ragionate sui perché e i per come esistono delle asimmetrie così profonde tra il nord e il sud del pianeta, non può prescindervi.            

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