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L'occhio selvaggio

Regia di Paolo Cavara vedi scheda film

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La recensione su L'occhio selvaggio

di kotrab
8 stelle

Metafora e sineddoche a doppio senso (come minimo), l'occhio selvaggio del titolo è lo strumento per eccellenza, il filtro che collega la protesi meccanica da una parte al corpo di carne del "conducente" e ideatore e dall'altra alla sfuggente immanenza del flusso di realtà esterno/interno, è quindi riferimento ad una fusione e identificazione reciproca tra macchina da presa, operatore e regista, fino allo spettatore, oltre che alla umanizzazione animalesca dell'obiettivo e ad una vampirizzazione sadica e masochistica della realtà tramite lo sguardo ammaliante del cinema, una fattura stregonesca a sua volta manipolata e sfruttata da un sistema commerciale senza scrupoli.
Paolo Cavara era già stato coregista, con Gualtiero Jacopetti e Franco Prosperi, di Mondo cane e La donna nel mondo, ma con L'occhio selvaggio sente il bisogno di una critica e autocritica di un genere che è estrema propaggine ipocrita e già morta di un approccio "positivistico" alla realtà. Lo fa con i mezzi della finzione, del metacinema che inscena la doppiamente falsa utopia cinica del mondo movie, tramite un personaggio, Paolo (chiaramente basato sulle esperienze dei tre registi citati, in particolare Jacopetti, e interpretato da P. Leroy), lucidamente illuso, consapevole del proprio destino costantemente a rischio, per sé e per gli altri, folle creatore di sensazionalismi in bilico tra fatti e situazioni concrete e manipolazione degli stessi, ambizioso e orgoglioso della propria indipendenza e assoggettato ai voleri dell'industria spettacolare sfruttatrice, cinico apologeta dell'interesse della bugia e della banalità della verità. Nulla può tirarlo indietro, a costo di dover mettere in pericolo anche il proprio operatore (G. Tinti), che a sua volta è anche spettatore sconcertato e schiavo (solo in parte ribelle) di quel che deve vedere e filmare, persino sé stesso (l'incipit nel deserto) e il coinvolgimento diretto di Paolo nei suoi drammi, come nel finale con Barbara (D. Boccardo), l'amante anch'essa critica ma sedotta fatalmente dal fascino di questo regista maledetto e alla fine di statura tragica (come già evidenziato da Roberto Curti e Tommaso La Selva in Sex and Violence, Lindau).
Cavara riesce bene a delineare i personaggi, a riflettere e ritrarre un vicolo cieco con la giusta distanza e insieme diretta messa in campo, paradossalmente con i mezzi della finzione di uno pseudo mondo movie e di una morale demistificante e non morbosa, con la collaborazione di Fabio Carpi e Ugo Pirro al soggetto, di Tonino Guerra e Alberto Moravia nella sceneggiatura e nei dialoghi. 8

Sulla colonna sonora

Chiare e non certo eccezionali influenze morriconiane da parte di Gianni Marchetti.

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