Regia di René Clair vedi scheda film
Non è difficile immaginare che titoli come questo squisito Grandi manovre di Clair siano stati di quelli capaci di sollevare le proteste dei giovani turchi della Nouvelle Vague.
La critica,in questo caso,era forse legittima ma anche del tutto inoffensiva se si nota l’evidente insofferenza con cui Clair dovette confezionare un film simile in tempi in cui il linguaggio cinematografico reclamava un respiro più ampio e meno scaltro di questo.
Confezionare,appunto,perché ancora oggi quello che più colpisce è la cesellatura certosina di un ‘opera preziosa come le rifiniture di un abito vaporoso che si usa una sola volta e si depone subito,o come la pazienza utile per ultimare una bomboniera.
Lo spettacolo offerto da Clair è questo:una popolare prosa tentata dalla poesia,impostata sui tempi da operetta e calibrata al millimetro perché il tono di scherzo musicale suggerisca e non dichiari apertamente quale tragedia ci sia dietro i gesti,le scommesse,le rinunce di un gruppo di personaggi più prossimi al tramonto di quanto essi stessi imaginino.
Non si può,e non si deve,negare ad un artigiano sopraffino e scontroso come Clair la riuscita partitura di canto e controcanto di personaggi tutti di immediata simpatia,forse proprio perché distanti anni luce dalla nuova retorica dei sentimenti contemporanei,capaci di strappare un sorriso o un sospiro in egual misura;e non è un caso che una vicenda come quella del tenente in procinto di partire abbia un’ambientazione provinciale,dove è più semplice sospendere i sentimenti in una anacronismo emotivo che appare un po’ come il rifugio di chi ha abbandonato la violenza della città
Si possono sprecare i momenti accattivanti della pellicola dove non esiste uno scarto nel montaggio che annoi o crei perplessità.
Quello che manca a Clair,se proprio si vuole trovare un difetto,è la mancanza di generosità verso tempi nuovi per preferire quell’epoca svanita già da tempo alla quale il regista sembra voler riaffidre le memorie di infanzia e adolescenza prima che ne scompaiano tutti i testimoni.
Ma si può tranquillamente accettare l’operetta piena di felicità spuntata con la stessa gioia sospettosa con cui si segue il sollevarsi di quelle lucide bolle di sapone in cui i personaggi sono custoditi e un po’ imprigionati.
Curioso vederla in un personaggio che di lì a poco avrebbe fatto di tutto per demolire,con molta meno felicità di risultati che non con questa damina turbabile che tanta dolcezza conferisce al suo angelico volto di ragazzaccia di buona famiglia.
Con Michéle Morgan,la figura più tenera del film,uomo di tempi lontanissimi che non sa farsi predatore.
Sapientemente tenuto a freno da Clair,presta la sua fisicità da gatto arruffato e atleta del balletto amoroso a questo tenentino che perde ancora una volta la verginità sentimentale,come chi sa tutto e scopre di non sapere nulla
Quasi un'Alida Valli d'Oltralpe,forse più rigida e distante,delicata dama ricca di misura interpretativa che incarna,con un languore che evita l'istrionismo,la signora elegante e forse inacessibile che vorremmo sempre incontrare al termine del passeggio di una giornata di primavera
La cosa più bella della sua cifra registica è la commozione che è un po' rimpianto e un po' orgoglio con cui ricorda,impagina e trascrive le memorie che lui per primo sa non saranno colte più.
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